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Accueil "Printemps arabe" Iran : si apre la stagione degli attentati terroristi

Iran : si apre la stagione degli attentati terroristi

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Traduzzione: Nicola Quatrano (OSSIN)

 

Acciambellata in una delle tante valli bucoliche della catena dei monti Zagros, la città di Paveh si trova nella provincia di Kermanshah. Una regione dell’estremo ovest dell’Iran, ai confini con l’Iraq, maggioritariamente abitata da Curdi sunniti, fieri dei loro «chalouar» e della larga cintura di stoffa. Sita a una trentina di chilometri dalla frontiera irano-irachena, Paveh avrebbe potuto mantenere il fascino campestre del suo paesaggio e delle stradine sinuose che delimitano i suoi frutteti, se non fosse per la sua posizione geostrategica, le intenzioni bellicose dei paesi vicini e la strumentalizzazione delle minoranze etniche iraniane.

 

Danza curda in Iran: "chalouar" e larga cintura di tessuto

 

Già nel 1979, Paveh è stata l’epicentro della ribellione curda dopo la cacciata dello Scià e la proclamazione della Repubblica islamica dell’Iran [1]. E sempre in questa regione, durante la guerra Iran-Iraq, gli oppositori iraniani dell’Organizzazione dei mujaheddin del popolo iraniano (Mujaheddin-e-Khalq, MeK), un movimento militare armato dalle autorità irachene, tentarono di invadere l’Iran, avanzando verso Kermanshah. Vennero sgominati dall’esercito iraniano [2].

 

Paveh, ad una trentina di chilometri dalla frontiera Iraq-Iran

 

Lo scorso 7 giugno, Teheran è stata colpita da un doppio sanguinoso attentato terrorista che ha provocato 17 morti e decine di feriti. Secondo alcune fonti ufficiali, quattro dei cinque terroristi erano iraniani di origine curda [3]. Tra essi, alcuni erano originari di Paveh[4][5], in particolare Serias Sadeghi, un soggetto conosciuto dai servizi di sicurezza iraniani e ritenuto un reclutatore di Daesh nel Kurdistan iraniano[6]. Qualche fonte ha anche segnalato che questi terroristi furono coinvolti nel passato in attacchi contro alcuni saloni di bellezza femminile nella regione di Paveh, considerati luoghi immorali[7].


 

Video attribuito ai terroristi autori dell'attentato di Teheran.
L'individuo col cappuccio nero è probabilmente Serias Sadeghi
Di passaggio in Norvegia, il capo della diplomazia iraniana, sig. Javad Zarif, ha accusato l’Arabia Saudita di stare dietro questi ed altri attentati, verificatisi alla frontiera est del paese a fine aprile scorso. «Disponiamo di informazioni che dimostrano che l’Arabia Saudita è attivamente impegnata nella promozione di gruppi terroristi che operano nell’Est dell’Iran » ha dichiarato, aggiungendo poi «Nell’Ovest, anche sono in corso attività dello stesso genere, anche lì abusando dell’ospitalità diplomatica di altri paesi vicini»[8].

 

Javad Zarif accusa l’Arabia Saudita di essere responsabile del terrorismo in Iran

 

Bisogna dire che i Sauditi, gonfiati dall’indecente sostegno del presidente Trump, non hanno lesinato minacce appena velate contro l’Iran. Infatti, poche settimane prima dell’attentato, Mohammed bin Salman, il vice-principe ereditario del regno saudita (è diventato di recente il principe ereditario), fece la seguente dichiarazione: «Non attenderemo che la battaglia giunga in Arabia Saudita. Al contrario faremo in modo che la battaglia si svolga in territorio iraniano»[9].
Solo qualche ora prima degli attacchi terroristici, il ministro saudita degli affari esteri, Adel Jubeir, aveva da parte sua dichiarato che l’Iran doveva essere punita per la sua ingerenza nella regione e il suo appoggio a organizzazioni terroriste [10].

Adel Jubeir e Mohammed Ben Salmane

 

 

Questa impennata di temerarietà tartarinesca degli el-Saud è, come per caso, sbocciata appena dopo la visita del presidente Trump, che ha riservato loro niente di meno che il suo primo viaggio all’estero, una novità nella storia degli Stati Uniti.
Ricevuto fastosamente, con cavalleria, danza delle spade e grottesca collana d’oro, il presidente statunitense ha trascinato il suo ciuffo ribelle nei palazzi sauditi, portandosi appresso Melania e Ivanka coi capelli al vento[11] e, naturalmente, ha firmato contratti astronomici, in particolare 110 miliardi di dollari in vendita di armi per contrastare le «minacce iraniane» (sic !)[12]. Un modo come un altro per sfumare i proponimenti della legge «JASTA» (Justice against Sponsors of Terrorism Act), votata durante l’amministrazione Obama e che prendeva di mira specialmente il regno wahhabita[13].

 

 

 

Donald "Ibn" Trump ricevuto in pompa magna in casa Al Saoud

 

Trump non è tornato però alla sua torre di Manhattan se non dopo avere riunito il «mondo mussulmano» in, secondo la sua espressione, «questa terra sacra dove si trovano i luoghi santi dell’islam»[14]. Dimenticate le dichiarazioni islamofobiche [15], il suo «muslim ban»[16], senza parlare del progetto di «schedare i mussulmani»[17]. Trump ha approfittato dell’occasione per riciclare il concetto «bushiano» di «lotta tra il bene e il male» e ha invitato i leader mussulmani a «combattere l’estremismo islamista»[18]. Il presidente Trump e il re Salman non hanno perso l’occasione per puntare il dito contro l’Iran, loro comune nemico. Il primo lo ha accusato di «appoggiare il terrorismo» e il secondo lo ha definito «punta di lancia del terrorismo mondiale»[19]. Hanno solo dimenticato di precisare che i loro rispettivi paesi fanno parte del club dei più grandi sponsor del terrorismo jihadista mondiale.

Per quanto riguarda il mondo mussulmano, bisogna riconoscere una certa continuità tra Trump e il suo predecessore, Obama. Quest’ultimo aveva iniziato il suo primo mandato rivolgendo al mondo mussulmano il suo pomposo «discorso del Cairo»[20]. Purtroppo conosciamo i risultati del suo sermone demagogico, la sedicente «primavera araba» sta lì per ricordarcelo ogni giorno. L’unica differenza, certamente non anodina, sta nella scelta dei luoghi. Obama ha scelto la terra della Confraternita dei Fratelli Mussulmani, mentre Trump ha preferito quella del Wahhabismo.

 

 

Trump e i leader dei paesi mussulmani (Riyad, 21 maggio 2017)

 

Obama e il suo famoso "discorso del Cairo" (Il Cairo, 4 giugno 2009)

 

 

La politica statunitense decisamente produce solo effetti nefasti sul mondo arabo e le sue istituzioni. L’azione di Obama ha distrutto quel che rimaneva della «Lega araba», quella di Trump ha provocato una gigantesca crepa nelle fondamenta del CGG (Consiglio di cooperazione del Golfo).
Infatti la visita di Trump nella «terra santa dell’islam» ha prodotto un’altra conseguenza. Oltre all’attacco di prammatica contro l’Iran, il regno saudita ha unilateralmente rotto le relazioni diplomatiche col vicino Qatar, a cagione del suo «sostegno al terrorismo»[21]. Per fortuna il ridicolo non uccide.
Pièce «shakesperiana» come l’ha definita il giornalista britannico Robert Fisk [22]? Pagliacciata, o sceneggiata reale, sarebbero espressioni più appropriate. Non perché il Qatar non sostiene il terrorismo jihadista (una realtà nota da lustri e che solo oggi i «segugi» sauditi scoprono!), ma perché l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti fanno di peggio!
La vera ragione è da cercare altrove: il riavvicinamento strategico tra Doha e Teheran che sfida i desiderata dell’amministrazione Trump e dei suoi confidenti sauditi. D’altronde, giacché è oramai certo che il Qatar civetta col terrorismo islamista, perché nessuno dei paesi occidentali – tanto sensibili a questi temi – non ha mai preso seri provvedimenti contro questo paese?
Dopo il terrorismo che è costato la vita agli scienziati iraniani[23], il terrorismo informatico che ha preso di mira il programma nucleare [24], una nuova stagione di attacchi terroristi, ingiusta e irragionevole, si apre sul territorio iraniano ad opera degli Stati Uniti e dei suoi vassalli sauditi.
La strumentalizzazione dei giovani [25] (come durante le elezioni presidenziali del 2009), l’esasperazione delle tensioni etniche, l’utilizzazione dei conflitti religiosi o linguistici saranno i mezzi cui si ricorrerà per tentare di destabilizzare il paese.

 

Il pugno chiuso di OTPOR (con 2 dita verdi), simbolo della "rivoluzione verde" un'altra "rivoluzione" colorata Made in USA (Iran, estate 2009)

 

Eppure sarebbe bastato passeggiare lungo l’avenue «Vali-e-Asr», a Teheran, la sera che ha preceduto l recente elezione presidenziale,  per vedere una folla densa e gioiosa, questa bella gioventù iraniana, scandire slogan e distribuire volantini a favore dei loro candidati, per capire quanta sete di pace e felicità abbia.

 

I giovani iraniani nelle strade di Teheran durante le elezioni presidenziali (17 maggio 2017)

 

Eppure, sarebbe bastato attraversare le strade pittoresche di Paveh e della sua regione, ammirare i suoi meravigliosi paesaggi collinosi, meravigliarsi dinanzi a quella natura generosa e feconda, contemplare i bei villaggi che appaiono al termine di una curva, per comprendere la fierezza di quegli uomini abbigliati con «chalouar» e larghe cinture di stoffa, e cogliere il loro profondo attaccamento, non solo al loro territorio, ma anche alla quiete di una vita pacifica e serena.

 

Il magnifico villaggio di Quri Qaleh, vicino a Paveh (Provincia di Kermanshah, Iran)

 


Note:

[1] BBC, « 1979: Kurdish revolt grows in Iran », 23 agosto 1979,

[2]Wikipedia, « Operation Mersad »,https://en.wikipedia.org/wiki/Operation_Mersad

[3] Louis Imbert, « Iran : après les attentats, les réseaux djihadistes kurdes dans la ligne de mire de Téhéran », Le Monde, 14 iugno 2017,
[4] Thomas Erdbrink, « Iran Kurds Are Implicated in Terrorist Attacks in Tehran », The New York Times, 9 giugno 2017,

[6] Ara Bendix, «Iranian Kurds Likely Responsible for ISIS Attacks in Tehran», The Atlantic, 10 giugno 2017,

[7] Vedi riferimento 3

[8] AFP, « Golfe : l'Iran propose un mécanisme de paix et accuse Ryad», Romandie, 13 giugno 2017,https://www.romandie.com/news/Golfe-l-Iran-propose-un-mecanisme-de-paix-et-accuse-Ryad/804927.rom
[9] Louis Imbert, « L’Iran se sent acculé par l’agressivité des États-Unis et de l’Arabie saoudite », Le Monde, 8 giugno 2017,

[10] Al Arabiya English, « Saudi FM: Iran must be punished for its interference in the region », 6 giugno 2017,

[11] Huffington Post, « Melania et Ivanka Trump sans voile en Arabie saoudite... comme Michelle Obama que Donald Trump jugeait "insultante"», 20 maggio 2017,http://www.huffingtonpost.fr/2017/05/20/melania-et-ivanka-trump-sans-voile-en-arabie-saoudite-comme-m_a_22100587/

[12] AFP, «Accueil royal et méga-contrats pour Trump en Arabie saoudite», La Libre, 20 maggio 2017,http://www.lalibre.be/actu/international/accueil-royal-et-mega-contrats-pour-trump-en-arabie-saoudite-59206d94cd70022542ef4e34

[13] Le Monde, « Loi « Jasta » : vent de tempête entre Riyad et Washington », 30 settembre 2016,http://www.lemonde.fr/idees/article/2016/09/30/loi-jasta-vent-de-tempete-entre-riyad-et-washington_5006066_3232.html

[14] AFP, « A Ryad, Trump appelle les musulmans à lutter contre l’extrémisme », Libération, 21 maggio 2017,


[16] Elodie Hervé, « Muslim Ban": ce qu'il faut savoir du décret anti-immigration de Trump », BFMTV, 30 gennaio 2017,

[17] Le Figaro, « USA : Trump suggère de ficher les musulmans », 20 novembre 2015, http://www.lefigaro.fr/flash-actu/2015/11/20/97001-20151120FILWWW00396-usatrump-suggere-de-ficher-les-musulmans.php

[18] Adrien Jaulmes, « À Riyad, Trump appelle les musulmans à "combattre l'extrémisme islamiste"», Le Figaro, 21 maggio 2017,

[19] Vedi riferimento 13

[20] La Paix Maintenant, « Discours d’Obama au Caire (texte intégral en traduction française) », The Guardian, 4 giugno 2009,

[21] Europe 1, « L'Arabie et ses alliés rompent avec le Qatar, accusé de "soutenir le terrorisme" », 5 giugno 2017,

[22] Robert Fisk, « This is the real story behind the economic crisis unfolding in Qatar », The Independent, 8 giugno 2017,

[23] Dan Raviv, « U.S. pushing Israel to stop assassinating Iranian nuclear Scientists », CBS, 1° marzo 2014,http://www.cbsnews.com/news/us-pushing-israel-to-stop-assassinating-iranian-nuclear-scientists/

[24] Martin Untersinger, « Stuxnet : comment les Etats-Unis et Israël ont piraté le nucléaire iranien », Le Nouvel Observateur, 4 giugno 2012,

[25] Ahmed Bensaada, «Stati Uniti: destabilizzazione 2.0», www.ossin.org, giugno 2017, http://www.ossin.org/uno-sguardo-al-mondo/analisi/2114-stati-uniti-destabilizzazione-2-0


 


Versione francese di questo articolo

Versione spagnola di questo articolo



 

 


 


 


 

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