Egitto: la grande disillusione dei ribelli di piazza Tahrir

Samedi, 16 Juin 2012 19:34 Ahmed Bensaada
Imprimer

Egitto, giugno 2012 - Questa duplice delusione elettorale ha consolidato tra i militanti egiziani “filo-democratici” il sentimento che la loro “rivoluzione” abbia finito per essere loro “democraticamente” confiscata. E’ per questo che un centinaio di essi si è ritrovato a piazza Tahrir, per denunciare la presenza del “fouloul” Ahmed Chafik al secondo turno delle presidenziali (nella foto, il dito "marchiato" di chi ha già votato)

 

Nel quartiere scic di Zamalek, proprio affianco alla pasticceria Fauchon, “The Bakery Shop” (TBS) è il “tempio” cairota della ciambella nord-americana. Questo negozio, in uno slancio di impegno sociale e fervore democratico, ha deciso di partecipare alla grande kermesse delle prime elezioni presidenziali libere del paese. Ha promesso di offrire graziosamente dei dolci alle persone che mostrino la “mano bianca”, vale a dire un dito macchiato di inchiostro indelebile, prova irrefutabile di partecipazione al voto. (Agli elettori che votano viene segnato un dito con inchiostro indelebile, ndt). Un impegno comunitario che non tenta nemmeno di nascondere un marketing “collegato”, divulgato come si deve nei social network, image de l’entreprise oblige (1).


TBS non è l’unico esercizio commerciale “elettoralmente” impegnato del Cairo. Il ristorante “Uncle Sam’s” nel quartiere Maadi ha anch’esso distribuito gratuitamente dei sandwich hot-dog alle persone che esibivano un dito marchiato dal sigillo democratico.  Un civico colpo di pollice al tasso di partecipazione del primo turno di queste presidenziali storiche.


Malauguratamente queste tentazioni dolci-salate non hanno prodotto l’effetto sperato: il tasso di partecipazione è stato notevolmente basso, superando di poco il 46% (2), ciò che vuol dire che più della metà degli elettori non hanno partecipato allo scrutinio (approssimativamente 27 milioni di persone). Percentuale ancora più sorprendente, perché inferiore a quella delle recenti elezioni legislative, nelle quali gli islamisti si sono largamente imposti.


Ma quelli che sono rimasti più delusi, addirittura abbattuti per l’esito del primo turno di queste elezioni sono stati, senz’altro, i cyber-dissidenti e gli altri militanti “filo-democratici” egiziani (autoproclamatisi “rivoluzionari”).


E bisogna comprendere il loro sconforto. Essi sono stati finanziati da molte organizzazioni nord-americane di “esportazione” della democrazia, formati all’utilizzo delle nuove tecnologie da strutture specializzate e iniziati ai metodi di resistenza non violenta teorizzati da Gene Sharp e insegnati dagli specialisti serbi della questione (3). Forti di queste “competenze rivoluzionarie”, hanno vinto l’impossibile scommessa di far cadere il regime di Mubarak non senza abnegazione e sacrifici. Ma che cosa hanno realizzato dopo?


Raggruppati in coalizioni dette “progressiste” e indeboliti da lotte intestine, alle elezioni legislative sono stati sommersi dall’onda verde (islamista) (4).


E non è tutto. Una seconda delusione elettorale è stata appena loro somministrata: i candidati cui avevano offerto il loro sostegno sono stati eliminati al primo turno delle presidenziali, battuti dall’islamista Mohamed Morsi e dall’ex cacicco del regime di Mubarak, Ahmed Chafik.


Si tratta di un reale disconoscimento popolare, di mancanza di maturità politica o di assenza di esperienza nella mobilitazione elettorale?


E’ interessante sottolineare che le formazioni sostenute da questi giovani cyber-dissidenti sono sbalorditivamente efficaci nella decapitazione dei regimi, ma non funzionano per niente nel dopo. Gli esempi delle gestioni politiche “post-rivoluzionarie” dei paesi in cui vi sono state le rivoluzioni colorate (Serbia, Georgia, Ucraina e Kirghizistan) sono in proposito eloquentissime. 

Ricordiamo che il modus operandi delle rivoluzioni colorate è identico a quello delle rivolte popolari delle “primavere arabe” (5), eccezion fatta per la Libia e per la Siria dove l’ingerenza straniera ha trasformato le rivolte in guerre civili reali.


Questa duplice delusione elettorale ha consolidato tra i militanti egiziani “filo-democratici” il sentimento che la loro “rivoluzione” abbia finito per essere loro “democraticamente” confiscata. E’ per questa ragione che qualche centinaio di loro si è (ancora una volta) ritrovato a piazza Tahrir all’annuncio dei risultati, per denunciare la presenza del “fouloul” (ex notabile del regime di Mubarak) Ahmed Chafik al secondo turno delle presidenziali (6).


Di qui a ritenere che ad essi debba attribuirsi il recente incendio del Quartier Generale della campagna di Ahmed Chafik, simbolo del sistema che hanno combattuto, non ci corre molto. Se è veramente così, vi è di che porsi delle serie domande sulla nozione di democrazia che questi militanti rivendicano. Infatti, perché non riconoscere i risultati delle urne, laddove è generalmente ammesso che queste elezioni siano state le più trasparenti che l’Egitto abbia mai avuto? Sarebbe stato piuttosto necessario opporsi alla sua candidatura alla suprema magistratura e non attendere i risultati del voto per manifestare la propria opposizione a questo “fouloul”.


Ma chi prevedeva che Morsi e Chafik si sarebbero contesi il secondo turno? Nessuno. Nemmeno i sondaggi che davano l’islamista moderato Abdel Moneim Abou El-Foutouh contro l’ex segretario della Lega araba Amr Moussa (7), mentre alla fine questi si sono piazzati solo rispettivamente al quarto e al quinto posto (8).


El Baradei, il candidato che ha gettato la spugna
Mohamed El Baradei, l’ex capo dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica e Premio Nobel per la pace nel 2005, è stato il candidato che ha ottenuto l’appoggio unanime di tutti i cyber-attivisti egiziani. Sostenuto dai militanti del movimento del 6 aprile (punta di lancia della contestazione di piazza Tahrir) e da essi incensato da ben prima della caduta di Mubarak, è stato anche il candidato dell’amministrazione USA, come documentato dal vivo interesse espresso nel cablogramma Wikileaks 10CAIRO237. Questo cablo, dal titolo “El Baradei torna al Cairo” e esclusivamente relativo al ritorno di El Baradei in Egitto, è datato 23 febbraio 2010, vale a dire circa un anno prima della caduta del regime egiziano (9).


Si possono leggere in questo documento a firma di Margaret Scobey, l’ex ambasciatrice degli Stati Uniti in Egitto, informazioni su un certo “comitato di accoglienza” per El Baradei al suo arrivo all’aeroporto del Cairo: “(…) Ahmed Salah, leader del movimento del 6 aprile che si trovava all’aeroporto. Ci (all’ambasciata USA) ha dichiarato di essere fiero del fatto che il suo movimento era riuscito a radunare all’aeroporto un gruppo stimato in 3000 persone. Salah ha detto che Ahmed Maher, il leader del movimento del 6 aprile e l’attivista Amr Ali, hanno partecipato anch’essi alla manifestazione(…)”.


Attaccato da ogni parte, è stato rimproverato a El Baradei di essere un candidato paracadutato che non conosceva i problemi egiziani. Ha subito anche una campagna di “infangamento” che ha avuto molto effetto sull’opinione pubblica. Sono state pubblicate foto della sua famiglia in una pagina Facebook anonima dove era visibile sua figlia in bikini o che beveva vino, facendo presente che era sposata ad un cristiano. Queste foto, e i commenti che suggerivano che la famiglia di El Baradei fosse atea, hanno inevitabilmente avuto un impatto negativo in un paese mussulmano come l’Egitto, tanto più che l’ex capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e la sua famiglia sono di confessione mussulmana.


El Baradei ha finito con l’abbandonare la corsa alla presidenza il 15 gennaio 2012, “ritenendo che il regime autoritario di Hosni Mubarak fosse tuttora al potere nonostante tutto” (10)


Questo abbandono, qualche mese prima delle elezioni presidenziali, è  stato un duro colpo per i militanti “filo-democratici”, giusto dopo la débâcle delle legislative che li aveva messi a confronto con la realtà elettorale. E’ ciò che ha fatto dire a Ezzedine Choukri Facher, editorialista del giornale militante Tahrir: “Le forze della rivoluzione si ritrovano senza candidato” (11).


I candidati di ricambio
La lista dei tredici candidati rimasti alle elezioni presidenziali era problematica per i “rivoluzionari”, questo è il meno che si possa dire. Infatti non comprendeva né copti né donne. 

Per dei militanti che si definiscono progressisti, non avere candidati che rappresentino queste due categorie di cittadini, almeno al primo turno, non è accettabile nella misura in cui i copti e le donne sono stati attori importanti della rivolta della strada egiziana.


Privati del loro candidato, i “rivoluzionari” hanno ripiegato su altri tre per contrastare tanto il ritorno dei foulouls che l’onnipresenza dei Fratelli mussulmani negli ingranaggi dello stato. Si trattava di Hamdine Sabbahi, Sbdel Moneim El-Foutouh e Khaled Ali.


I candidati dei “rivoluzionari”
Hamdine Sabbahi è un nasseriano di sinistra, molto apprezzato dai militanti “filo-democratici” per essere stato protagonista delle manifestazioni anti-Mubarak fin dai primi giorni. Classificatosi terzo, ha ottenuto 4.820.273 voti, vale a dire circa il 20,72% dei suffragi (12)


Abdel Moneim Abou El-Foutouh è lo “Erdogan egiziano”. Ex Fratello mussulmano, è stato espulso dall’organizzazione per essersi candidato alle presidenziali, nonostante il contrario avviso della confraternita.  Considerato un islamista moderato, è riuscito nel miracolo di attirare sia i giovani cyber-attivisti liberali alla moda che gli islamisti ultra-conservatori. Il celebre cyber-attivista Wael Ghoneim in persona gli ha dato il suo appoggio (13) e i salafisti hanno invitato a votare per lui in quanto il loro candidato, Hazem Abou Ismail, era stato eliminato dalla lista dei candidati a causa della nazionalità nord-americana di sua madre (14). Abdel Moneim Abou El-Foutouh ha ottenuto il 17,47% dei voti e si è piazzato al quarto posto.


Khaled Ali è, a 40 anni, il candidato più giovane. Avvocato, militante di estrema sinistra e infaticabile difensore dei diritti umani, ha sostenuto le cause dei contadini e degli operai, in modo tale da essere considerato come un vero “incorruttibile”. Previsto da alcuni come il “candidato della rivoluzione” (15), malauguratamente ha ottenuto poco più di 134.000 voti, e si è piazzato settimo allo scrutinio del primo turno.


Si rileva dunque che il campo “rivoluzionario”, non avendo saputo galvanizzarsi intorno ad un programma e ad un candidato unico, è caduto nella trappola della dispersione, sostenendo diversi candidati, alcuni dei quali mettevano insieme cani e porci. Lo spettro ideologico di questi tre candidati, che teneva insieme gli elettori dall’estrema sinistra all’islamismo ultra-conservatore, pone seriamente la questione della collocazione politica dei militanti “filo-democratici”.


Morsi, il candidato di seconda scelta
La partecipazione dei Fratelli mussulmani alle elezioni presidenziali ha avuto diverse peripezie. In un primo momento non volevano presentare candidati, ma si sono presto ravveduti comprendendo che il “vero” potere sarebbe stato nelle mani del futuro presidente. E’ stata allora proposta la candidatura del ricchissimo Khairat El-Chater. Numero due della confraternita e finanziatore dell’organizzazione, viene considerato come lo stratega e l’eminenza grigia dei Fratelli mussulmani (16). Nondimeno la sua candidatura è stata invalidata a causa della sua detenzione fino al marzo 2011, cosa che lo rendeva ineleggibile per sei anni a partire dalla scadenza della pena.


Il candidato di seconda scelta è Mohamed Morsi, un ex ingegnere della NASA. Componente dei Fratelli mussulmani, è conosciuto come un oratore noioso privo di carisma (17).


E’ per lo meno riuscito ad assicurarsi il primo posto del primo turno delle presidenziali con il 24,78% dei suffragi (5.764.952 voti). Secondo qualche analista, questo risultato è più da attribuirsi all’impressionante macchina elettorale della confraternita piuttosto che alla deludente personalità del candidato. D’altra parte, anche se occupa il posto più alto del podio, il risultato ottenuto in termini di percentuale di voti è nettamente inferiore a quello guadagnato dalla confraternita alle legislative. Questo cattivo risultato non deve solo attribuirsi alla personalità del candidato, ma anche alla cattiva prestazione dei deputati islamisti nelle due camere del parlamento, dove sono in netta maggioranza.


D’altra parte, la loro posizione sulla non eleggibilità delle donne e dei copti alla magistratura suprema, messa insieme a varie dichiarazioni concernenti il modo in cui devono andare vestite le donne, ha spaventato più d’uno (18). Altri hanno pensato che, dopo la loro vittoria alle legislative, non bisognava più concedere loro tutte le leve del potere.


Oltre a tutto questo, i “rivoluzionari” rimproverano loro di essersi uniti troppo tardi alla contestazione anti-Mubarak, e il loro opportunismo politico.


Nel suo primo discorso dopo il primo turno, Morsi si è presto preoccupato di corteggiare il voto delle donne, dei copti, dei salafisti ed anche dei militanti “filo-democratici”, facendo balenare promesse molto concilianti.


Chafik, il delfino di Mubarak
Ahmed Chafik viene considerato un fouloul dai “rivoluzionari”. Ex militare, è stato al servizio di Mubarak in qualità di capo di stato maggiore  dell’aviazione egiziana. Secondo alcune fonti bene informate, il suo nome sarebbe anche circolato come successore di Mubarak nel caso in cui il figlio di quest’ultimo non fosse riuscito a prendere il potere.


Nel corso della rivolta di inizio 2011, venne nominato primo ministro da Mubarak, incarico che ha rivestito dal 31 gennaio al 3 marzo 2011. Ha dunque ricoperto questo posto, mentre la repressione infuriava nelle piazze egiziane. Viene soprattutto accusato di essere il responsabile della “battaglia dei cammelli” che si svolse in piazza Tahrir il 2 febbraio 2011. Di fatto alcuni attivisti ricordano che sono state presentate ben 52 denunce contro di lui per il ruolo svolto nella repressione dei manifestanti, senza che alcuna abbia avuto seguito.


Egli è certamente il candidato dell’istituzione militare. E si comprende bene adesso il ritiro della candidatura di Omar Souleymane, vice-presidente di Mubarak. Si trattava di non commettere lo stesso errore dei “rivoluzionari” e disperdere i voti.


Chafik è riuscito a classificarsi secondo con il 23,6% dei suffragi (5.505.327 voti, vale a dire circa 260.000 voti meno di Morsi). Come il suo avversario islamista, ha pronunciato un discorso di circostanza nel quale ha dichiarato: “Io prometto a tutti gli Egiziani che stiamo per cominciare una nuova era. Non torneremo indietro. Quel che è stato, appartiene oramai al passato”. Ed ha aggiunto: “La rivoluzione che avete avviato vi è stata confiscata, io mi sono impegnato e mi impegno a rendervene i frutti”.


C’è pochissima speranza che i militanti “filo-democrazia”, che lo esecrano, votino per lui, ma potrà certamente contare sul voto dei copti (dal 6 al 10% della popolazione) e su parte dell’elettorato di Amr Moussa (11,13% al primo turno; 2.588.850 voti), oltre alla non trascurabile fetta dalla popolazione che è nostalgica del vecchio regime e che apprezza i discorsi securitari di Chafik.


Il balletto diplomatico dello zio Sam
Anche se non hanno provocato la “primavera egiziana”, gli Stati Uniti l’hanno finanziata, sostenuta e influenzata (19). E il loro ruolo non si esaurito con la caduta di Mubarak, al contrario. Le noie giudiziarie di alcune organizzazioni nord-americane di “esportazione” della democrazia che operavano in Egitto e sono state inquisite dalla Giustizia egiziana ne sono una prova tangibile (20). A questo proposito in Egitto, negli ultimi mesi, si è assistito ad un balletto diplomatico USA molto rivelatore.


Prima di tutto, il 10 dicembre 2011 il senatore John Kerry, presidente democratico della commissione affari esteri del senato, accompagnato da Anne Patterson, l’ambasciatrice degli Stati Uniti al Cairo, ha incontrato Mohamed Morsi, il Candidato alle presidenziali dei Fratelli mussulmani (21). All’inizio del mese di maggio 2012, tre settimane prima del primo turno dello scrutinio presidenziale, si è di nuovo incontrato con lui (22).


Dall’altro lato, il segretario di Stato aggiunto, William Burns, numero due della diplomazia USA si è incontrato col candidato Morsi l’11 gennaio 2012, ma non ha voluto ricevere alcuni rappresentanti del partito salafista Al Nour (23).


Queste sollecitudini USA nei confronti dei Fratelli mussulmani sono state molto evidenziate da L. Mazboudi: “Sono quattro mesi che responsabili USA fanno la spola con la sede dei Fratelli mussulmani al Cairo. Ma giovedì l’incontro è stato assolutamente ufficiale. Era la prima volta che un responsabile di così alto rango, per la precisione il vice segretario di stato agli affari esteri William Burns, viene di persona dagli Stati Uniti per andare da loro. Prima di lui c’è stato John Kerry, il presidente della commissione affari esteri del Senato “ (24).


Sempre nello stesso quadro, il 23 maggio 2012, Anne Patterson si è recata, durante le elezioni presidenziali, nel governatorato di Sharkia per visitare alcuni seggi elettorali (25). Questa visita, apparentemente di scarsa importanza, non lo è più quando si consideri che Mohamed Morsi è originario di questo governatorato e che questa regione è il suo feudo.


D’altronde Elizabeth Arrott, corrispondente regionale di Voice of America, gli ha dedicato un reportage esclusivo durante la campagna elettorale in questo governatorato e lo ha perfino seguito nel suo villaggio natale (26).


Così la diplomazia USA sembra puntare sul candidato dei Fratelli mussulmani. Tuttavia è altrettanto chiaro che l’istituzione militare egiziana tiene invece a che vinca il suo protetto Ahmed Chafik.


Ma che cosa diventa il campo “filo-democratico”, coi suoi “cyber-attivisti” e i suoi “rivoluzionari” in tutto questo? Non sono i reietti di questa “primavera”, dopo esserne stati i promotori? Che ci fanno senza successo in tutti gli scrutini elettorali e, peggio ancora, senza l’appoggio di quegli stessi che li hanno aiutati ad abbattere il sistema-Mubarak e che, ora, hanno cambiato direzione e fanno gli occhi dolci ad altre formazioni politiche?


Qualsiasi sarà il risultato del secondo turno delle presidenziali, i “rivoluzionari” avranno come unica tribuna Piazza Tahrir e come unica agenda politica la protesta, sperando che il vincitore delle elezioni non decida di raccogliere le carte e porre fine alla partita. In tal caso, la “primavera” sarà una stagione assente nell’almanacco rivoluzionario.


I “ribelli” di paizza Tahrir
Inoltre, tenuto conto delle tergiversazioni dei militanti “filo-democratici”, oscillanti tra la tentazione di alleanze politiche contro natura ed inviti al boicottaggio puro e semplice delle elezioni, bisogna attendersi a questo punto che il tasso di partecipazione al secondo turno sarà ancora più basso di quello del primo. Questo produrrà il nefasto effetto di minare la legittimità del futuro presidente e di indebolire una delle più importanti istituzioni di questa nuova seconda 
repubblica egiziana.


E non saranno i succulenti dolcetti gratuiti di “The Bakery Shop”, né i deliziosi hot-dog di “Uncle Sam’s” a cambiare le cose. Anche se i nomi di questi due esercizi commerciali esalano effluvi tipicamente USA.


Riferimenti:

1. TBS (The Bakery Shop), « I Got Ink », Évènement Facebook, http://fr-fr.facebook.com/tbsfresh


2. David D. Kirpatrick et Liam Stack, « Candidate’s Offices Burn Amid Egypt Demonstrations », The New York Times, 28 maggio 2012,
http://www.nytimes.com/2012/05/29/world/middleeast/egypt-con...


3. Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Edizioni Michel Brûlé, Montréal (2011) ; Edizioni Synergie, Alger (2012)


4. AFP, « Les Frères musulmans remportent les législatives », France 24, 22 gennaio 2012,
http://www.france24.com/fr/20120121-egypte-freres-musulmans-...


5. Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Op. Cit.


6. Euronews, « Égypte : Ahmed Chafik dans le collimateur de manifestants au Caire », 29 maggio 2012,
http://fr.euronews.com/2012/05/29/egypte-ahmed-chafik-dans-l...


7. Euronews, « Égypte : la violence s’invite dans la présidentielle », 29 maggio 2012,
http://fr.euronews.com/2012/05/29/egypte-la-violence-s-invit...


8. Mai El-Sadany, « Egypt Presidential Election Results : LIVE », Policymic, 28 maggio 2012,
http://www.policymic.com/articles/8738/egypt-presidential-el...


9. Wikileaks, « El Baradei Returns To Cairo », cablo 10CAIRO237, redatto dall’ambasciata degli Stati Uniti al Cairo il 23 febbraio 2010,
http://www.cablegatesearch.net/cable.php?id=10CAIRO237


10. AFP, « Présidence égyptienne : Mohamed El Baradei jette l’éponge », Jeune Afrique, 15 gennaio 2012,
http://www.jeuneafrique.com/Article/DEPAFP20120115105836/


11. AFP, « ÉGYPTE. L’abandon d’El Baradei, une claque pour l’armée », Le Nouvel Observateur, 16 gennaio 2012,
http://tempsreel.nouvelobs.com/monde/20120116.OBS8887/presid...


12. Claire Talon, « En Égypte, les révolutionnaires opposés au retour d’Ahmed Chafik », Le Monde, 29 maggio 2012,
http://www.lemonde.fr/afrique/article/2012/05/29/egypte-les-...


13. Samuel Forey et Marion Touboul, « Égypte : à la rencontre d’Aboul Fotouh », Le Point.fr, 20 maggio 2012,
http://www.lepoint.fr/monde/egypte-a-la-rencontre-d-aboul-fo...


14. David D. Kirpatrick, « Anti-American Egyptian Candidate May Be Tripped Up by Mother’s U.S. Ties », The New York Times, 4 aprile 2012,
http://www.nytimes.com/2012/04/05/world/middleeast/sheik-haz...


15. El Qarra, « Égypte : Khaled Ali, le candidat de la révolution ? », 14 marzo 2012,
http://www.alqarra.tv/2012/reportages/egypte-khaled-ali-le-c...


16. Isabelle Mayault, « El-Shater, l’islamiste millionnaire qui brigue la présidence de l’Égypte », Rue 89, 4 aprile 2012,
http://www.rue89.com/comment/3004885


17. Ian Black, « Mohammed Morsi : Brotherhood’s backroom operator in the limelight », The Guardian, 25 maggio 2012,
http://www.guardian.co.uk/world/2012/may/25/mohammed-morsi-m...


18. AFP, « Égypte - présidentielle : Morsi, Le candidat des Frères musulmans veut rassurer les chrétiens », Maghreb Émergent, 30 maggio 2012,
http://www.maghrebemergent.com/actualite/fil-maghreb/12701-e...


19. Ahmed Bensaada, « Les États-Unis et le "printemps arabe" », Politis, n°2, pp. 59-61, Ottobre-Novembre 2011,
http://www.ahmedbensaada.com/index.php?option=com_content&am...


20. AFP, « Égypte : début du procès de membres d’ONG dont des Américains », Le point.fr, 26 febbraio 2012,
http://www.lepoint.fr/monde/egypte-debut-du-proces-de-membre...


21. FJP, « EGYPT : Visiting U.S. senator John Kerry says he believes Egyptian military rulers intend to hand power over to civilian government »,
http://www.fjponline.com/article.php?id=215


22. ITN Source, « Senator John Kerry and U.S. Ambassador Visit FJP Discuss Egypt’s Democratic Transition », 11 dicembre 2011,
http://www.itnsource.com/en/shotlist/RTV/2012/05/04/RTV13557...


23. Reuters, « Égypte : William Burns rencontre chef de file du parti Liberté et justice », 20 minutes.fr, 11 gennaio 2012,
http://www.20minutes.fr/ledirect/857804/egypte-william-burns...


24. Leila Mazboudi, « L’alliance contre nature entre les Frères Musulmans et les Etats-Unis, patronnée par la Turquie et le Qatar », 14 gennaio 2012,
http://www.silviacattori.net/article2691.html


25. Embassy of The United States in Egypt, « U.S. Ambassador Greets Egyptian Voters at Polling Stations in Sharkia », 23 maggio 2012,
http://egypt.usembassy.gov/pe052312.html


26. Elizabeth Arrot, « Egyptian Presidential Hopeful Morsi Promises Islamic, Inclusive Future », VOA, World News, 26 aprile 2012,
http://wn.com/Mohamed_Morsi



 

Provenienza dell'articolo