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L’affaire Bugingo o le derive del giornalismo mainstream

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L’affaire Bugingo o le derive del giornalismo mainstream

Ahmed Bensaada

Traduzione dal francese: Nicola Quatrano (OSSIN)


Mentre i benpensanti se la prendono col giornalismo alternativo, cittadino e impegnato, mentre si compilano liste arbitrarie di “pericolosi siti complottisti” e i governi cercano di mettere a tacere le voci che non ripetono all’unisono “verità” che trasudano un unanimismo primitivo, il giornalismo mainstream viene investito da uno scandalo strepitoso che rivela ancora una volta le sue derive professionali, la sua mancanza di probità e gravi carenze deontologiche



Infatti François Bugingo, un giornalista vedette del Quebec (di origine ruandese, ma nato in Congo) si è fatto beccare da una collega che ha vivisezionato il suo percorso professionale (1). E ci ha trovato tutta la panoplia del giornalismo disonesto: reportage inventati di sana pianta, interviste finte, missioni di liberazione di ostaggi immaginari, ecc. C’è da chiedersi come questo enorme ammasso di menzogne non sia stato scoperto prima. E apparentemente Isabelle Hachey, l’autrice dell’articolo-verità, non era l’unica al corrente di questa storia.

“Se tanti nell’ambiente sapevano di Bugingo, perché la verità non è venuta fuori prima?”, si è chiesto un collega giornalista" (2).

E’ che il sistema mediatico è troppo indifferente e non ha interesse a estromettere giornalisti avidi di avventure rocambolesche.

Tanto più che, anche dopo la rivelazione di fatti così gravi, molti hanno cercato circostanze attenuanti.

“(Bugingo) non è che inventasse proprio i suoi reportage, abbelliva solo le sue analisi e i suoi commenti con cronache spettacolari delle quali lui era l’eroe. Li raccontava en passant, come uno sfondo, un decoro, una musica che faceva atmosfera. Non erano l’essenziale dei suoi racconti. Voleva solo che si sentissero i proiettili fischiare intorno al suo personaggio. Che la polvere del deserto entrasse nelle narici dell’ascoltatore, mentre parlava dell’Africa del Nord” (3).

“Comunque non è stato il primo a comportarsi in questo modo”, sembra dirci Isabelle Hachey nello stesso articolo col quale ha sprofondato il collega nelle catacombe del giornalismo. Citando il caso di celebri truffatori mediatici come Brian Williams, Jane Cooke, Jayson Blair o il “mistificatore” Stephen Glass, come se il malagiornalismo di qualcuno fosse una attenuante per quello degli altri.

Bugingo è peraltro tanto più inescusabile, dal momento che era una “bestia” mediatica bulimica: collaboratore del telegiornale, animatore radiofonico e cronista di un giornale a grande tiratura di Montreal. Era anche vice presidente internazionale di Reporters sans frontières (RFS) e presidente di RSF Canada.

La stessa RSF della quale un certo Robert Ménard (attualmente sindaco del Fronte Nazionale di Le Pen a Béziers!) è stato uno dei fondatori, con tutto quello che simili rapporti possono rappresentare in termini di attentato alla libertà di stampa. D’altra parte si è dimostrato che RFS è stata finanziata da organizzazioni statunitensi di “esportazione” della democrazia vicine al governo USA, come la National Endowment for Democracy (NED) (4) e la Fondazione Soros (5). Ricordiamo che queste due organizzazioni sono ampiamente coinvolte nelle rivoluzione colorate e nella celebre “primavera” araba (6).



Robert Ménard

Sembra evidente che vi sia la precisa volontà di trasformare quel circo mediatico che è diventato il processo pubblico di Bugingo in una cerimonia popolare di assoluzione di tutto il sistema giornalistico “mainstream”: un tentativo di purificazione del sistema per eliminazione delle impurità, il taglio a vivo di una verruca perché il resto della pelle sembri più liscia…

Ma si può davvero pensare che il sistema mediatico “mainstream” possa consentirsi tanto facilmente una rigenerazione, solo mettendo alla gogna uno dei suoi esponenti e continuando, nel suo insieme, a ignorare sistematicamente i principi elementari dell’etica del mestiere?

Cosa pensare infatti di come è stata la “copertura” di diversi avvenimento internazionali che hanno colpito e colpiscono ancora il nostro mondo?


Il carnaio di Timisoara

Si è per caso fatta qualche verifica, nel dicembre 1989, sulla vicenda del falso carnaio di Timisoara (Romania), definito dal giornalista Ignacio Ramonet come “la più grande truffa dall’invenzione della televisione”, prima di diffonderla in tutto il mondo (7) ? No, per niente. La “rivoluzione rumena” aveva bisogno della demonizzazione del regime di Bucarest.


Le incubatrici kuwaitiane

E quella ragazzina in lacrime che ha testimoniato nel 1990 in lacrime davanti ad una Commissione del Congresso degli Stati Uniti nella vicenda delle “incubatrici kuwaitiane”? Era così difficile scoprire che si trattava della figlia dell’ambasciatore del Kuwait a Washington? Non, per niente. E però i media occidentali non hanno avuto alcuna esitazione a rilanciare una informazione inventata di sana pianta dall’amministrazione statunitense. E quale è stato il risultato di questa collusione mediatica? Decine di migliaia di morti, la distruzione di un paese, la decomposizione di una regione, la “daechizzazione” di un territorio…


La falsa testimonianza della figlia dell’ambasciatore del Kuwait (1990)



I 6.000 morti di Gheddafi

Libia, marzo 2011. I media più importanti diffondono a ripetizione l’informazione che le forze lealisti di Gheddafi hanno provocato “almeno 6.000 morti”: 3.000 a Tripoli, 2.000 a Bengasi e 1.000 in altre città. Cifre fornite dal portavoce della Lega Libica per i diritti dell’uomo, un certo Ali Zeidan (9).

Questa informazione, all’origine della giustificazione della risoluzione 1973 dell’ONU e, poi, dell’intervento della NATO in Libia, si è rivelata completamente falsa. Secondo un rapporto di Amnesty International:

“Il numero dei morti è stato notevolmente esagerato. Si è parlato di 2.000 morti a Bengasi. Invece la repressione ha provocato in questa città da 100 a 110 morti e, a Al Baida, una sessantina”
(10).

Risultato: migliaia di morti sotto le bombe NATO e i colpi dei ribelli, un paese allo sfascio, una situazione politica catastrofica, un’intera regione destabilizzata e abbandonata allo jihadismo…

Per la cronaca, ricordiamo che Ali Zeidan, uno dei “compagni” del “grande rivoluzionario” Bernard Henri-Levy, è stato primo ministro della Libia (2012-2014), prima di scapparsene in Germania nel 2014, abbandonando il paese per salvare la pelle (11).



Ali Zeidan e Bernard Henri-Levy, il 22 marzo 2011 all’hotel Raphael (Parigi)



I video della “primavera araba”

A proposito della verifica delle fonti giornalistiche, occorre riconoscere che Bugingo non era l’unico a non preoccuparsene troppo. Durante le “primavere” iraniana (2009) e araba (2010-2011), quale emittente occidentale si è preoccupata di verificare la provenienza di video girati con apparecchi non professionali dai cyberattivisti durante le manifestazioni nelle strade di Teheran, di Tunisi, del Cairo o di Deraa? A memoria di telespettatore, mai immagini di una così scadente qualità sono state diffuse a ripetizione, giorno e notte, per mesi.

E tuttavia, la facilità con cui i cyberattivisti trasmettevano i loro video doveva far supporre l’esistenza di una fattiva collaborazione tra i dissidenti sul campo e i responsabili dei grandi gruppi mediatici. E ciò è stato confermato da Ausama Monajed, un “famoso” dissidente siriano, ex membro del Consiglio Nazionale Siriano (CNS), nel film documentario realizzato dal giornalista britannico Ruaridh Arrow (12).

Ausama Monajed alla BBC



La testimonianza di Ausama Monajed è interessante perché chiarisce i metodi operativi di questa collaborazione. Parlando della situazione siriana, ha riconosciuto che i suoi amici all’interno del paese avevano piazzato segretamente delle telecamere in tutta la Siria. Chi ne aveva finanziato l’acquisto, il trasporto nelle varie località e l’istallazione? Nemmeno una parola.

“E’ solo una telecamera HD di base, collegata ad un modem satellitare, e trasmettiamo su siti di streaming dove possiamo avere la diretta, e abbiamo così raggiunto Al Jazeera, che ha trasmesso in diretta le immagini che siamo riusciti a fornire, perché non potevano inviare i loro giornalisti (…). Abbiamo delle persone che si occupano della trasmissione. Questi video sono adesso su CNN, su Al Jazeera, in arabo o in inglese, ABC, France 24, BBC, Sky. Noi abbiamo qualcuno che trasmette i video sui loro siti web e siamo già in contatto con diversi media (…). Senza la tecnologia moderna, non saremmo in grado di farlo, assolutamente”
(13)

Questa dichiarazione dimostra l’innegabile collusione dei media “mainstream” coi cyberattivisti arabi, in contraddizione coi principi elementari dell’etica giornalistica.


L’OSDH

Nel conflitto siriano, i dati ampiamente divulgati dai media internazionali provengono da un’unica fonte: l’Osservatorio Siriano per i diritti dell’uomo (OSDH), diretto da un oppositore siriano di nome Rami Abdul Rahman, residente in Inghilterra e finanziato, secondo il New York Times, dall’Unione Europea e da un paese di cui non si fa il nome (14). In questo stesso articolo si legge che l’OSDH è in realtà un one-man show girato da una “casa di mattoni semidiroccata, di una strada residenziale ordinaria della città industriale di Coventry” e che il suo fondatore, Rami Abdul Rahman, non ha alcuna formazione giornalistica o di diritto, e nemmeno una completa formazione secondaria.



Rami Abdul Rahman e la sua casa di Coventry



Nell’ultima parte di un articolo sull’OSDH, pubblicata dal Modern Tokyo Times, si legge:

“E’ chiarissimo che l’Osservatorio Siriano per i Diritti dell’Uomo propugna un ‘mutamento di governo’ in Siria. Si può anche dire che i ‘diritti dell’uomo’ secondo l’Osservatorio siriano sono una manipolazione esplicita di linguaggio, giacché in teoria questa organizzazione si ispira alla sola finalità di un mutamento di governo. Inoltre, considerando la sua vicinanza ad alcune élite del Regno Unito, la questione della sua credibilità deve essere posta ad un diverso livello. Dunque perché l’Osservatorio Siriano per i diritti umani costituisce un punto di riferimento per molti organismi internazionali, nonostante i suoi caratteri ‘poco chiari”?

Aggiungendo:

“Se la BBC, CNN, AP, Reuters, New York Times, o chiunque altro, intendano essere più obiettivi sulle loro fonti, sarà necessario cambiare il format. Il pubblico dovrebbe essere informato in ogni articolo che l’Osservatorio Siriano per i diritti dell’uomo è una organizzazione anti-governativa (contro il governo siriano) e si trova in Inghilterra”.


Il Russia-bashing

Se vi è un campo nel quale il malagiornalismo “mainstream” ha ricavato i suoi certificati di nobiltà, è sicuramente quello del “Russia-bashing”. Lo stesso Bugingo vi ha allegramente partecipato. Nell’ottobre 2013 lo si poteva sentire in una radio di Montreal:

“E’ un paese (la Russia” che si è xenofobizzato negli ultimi anni, attraverso il rilancio di una certa fierezza russa da parte di Vladimir Putin”
(16)

Una scorciatoia facile ma non originale nel gioioso mondo del giornalismo di demonizzazione della Russia e del presidente Putin. In proposito, Karl Muller scrive:

“In questa campagna contro la Russia i media mainstream occidentali hanno giocato e giocano sempre di più un ruolo particolarmente reprensibile (…) la ‘copertura’ mediatica della Russia è esclusivamente negativa in modo intollerabile. E talmente negativa, che il consumatore di media privo di malizia viene indotto a pensare il peggio della Russia. Questo tipo di copertura mediatica riguarda infatti tutti gli aspetti del paese. E il ricorso a vecchi pregiudizi contro la Russia è all’ordine del giorno” (17)

Tra gli attacchi più sbalorditivi portati avanti da personalità pubbliche vi è quella di paragonare il presidente Putin a Hitler e la Russia attuale al III° Reich.

E’ il caso di Jay Leno (18), l’ex presentatore-vedette dell’emittente statunitense NBC, dell’attore britannico Stephen Fry (19) o dell’ex campione di scacchi russo (e all’occasione “oppositore” politico) Garry Kasparov (20).

Quest’ultimo si è perfino abbandonato alla formula shock “Sochi è per Putin quello che Berlino nel 1936 è stato per Hitler”. La reductio ad Hitlerum in tutta la sua magnificenza!

Ecco cosa dicono i filosofi a proposito di simili paragoni:

“La reductio ad Hitlerum consiste nella demonizzazione di una corrente di pensiero, una corrente politica o un uomo politico, identificandolo con Hitler. Un certo uomo di Stato fa discorsi autoritari, dunque è un nuovo Hitler. Secondo Leo Strauss, si tratta dell’ultimo argomento di chi non ha più argomenti, la confessione di impotenza della cattiva fede” (21)

Con sei milioni di morti, l’Unione Sovietica ha pagato il prezzo più alto della Seconda Guerra Mondiale. In questo sanguinoso conflitto, i Russi hanno pagato enormi sacrifici umani che hanno permesso di sconfiggere la Germania nazista e liberare l’Europa. E’ evidente dunque che paragonare Sochi a Berlino, o la Russia attuale alla Germania di Hitler, è sia far finta di ignorare la Storia, sia cercare di far colpo su di un uditorio con sparate vuote, sia mancare drammaticamente di gusto nella scelta delle analogie.





Esempi di “reductio ad Hitlerum”: Hitler ama gli animali, Putin ama gli animali: Putin = Hitler



I giornalisti mercenari


E non è tutto. I media mainstream hanno selezionato una specie di giornalisti molto particolari: i mercenari che lavorano per servizi segreti stranieri. Due casi sono balzati poco tempo fa agli onori della cronaca: il francese Roger Auque e il tedesco Udo Ulfkotte.

In un libro postumo pubblicato nel 2015, Roger Auque racconta di essere stato al servizio del Mossad israeliano “per effettuare delle operazioni in Siria, con la copertura di reportage”, e della CIA durante la seconda guerra d’Iraq (23).



Il libro di Roger Auque



Udo Ulfkotte ha scritto anche lui le sue confessioni in un libro pubblicato nel 2014 e intitolato “Gekaufte Journalisten” (Giornalisti comprati). Vi racconta di avere lavorato per anni al servizio della CIA, A proposito della copertura mediatica di questo libro, Jean-Paul Baquiast nota:

“E’ interessante notare che il libro di Udo Ulfkotte, benché abbia fatto il giro dei circoli alternativi e dei blog politici tedeschi, è stato praticamente ignorato dalla stampa che si può ben definire ufficiale” (23)


Intervista di Udo Ulfkotte al canale RT



E’ anche da notare che entrambi i giornalisti non sono stati denunciati dall’istituzione giornalistica.  Nonostante che, nel caso di Roger Auque, “la voce già corresse nelle redazioni parigine da decenni” (24). Se non fossero stati loro stessi a rivelare le loro attività, il segreto sarebbe stato mantenuto. Dunque può ben porsi la domanda di quanti giornalisti mercenari vi siano nei media mainstream che, mantenendo il silenzio, possono continuare tranquillamente a lavorare in un ambiente che si giova di una complicità passiva, a volte attiva.

La sua immaginazione galoppante e le sue elucubrazioni giornalistiche sono valse a Bugingo un processo mediatico in piena regola. Ma tutto questo chiasso non deve essere l’albero che nasconde la foresta. La foresta delle derive di un giornalismo mainstream che è lontano dalla deontologia di cui fa bella mostra e che spiega il continuo sgretolarsi della sua credibilità. La foresta della manipolazione della disinformazione in grande scala dell’opinione pubblica mondiale, altrettante bombe micidiali mollate tra le righe di un testo, le onde di un radio, il pixel di uno schermo…


Riferimenti:

(1)    Isabelle Hachey, «François Bugingo : des reportages inventés de toutes pièces», La presse, 23 maggio 2015, http://www.lapresse.ca/arts/medias/201505/22/01-4871868-francois-bugingo-des-reportages-inventes-de-toutes-pieces.php

(2)    Yves Boisvert, « Flagrants délits », La Presse, 26 maggio 2015, http://plus.lapresse.ca/screens/49321172-500e-41fd-a810-cdab11a7d40f%7C_0.html

(3)        Ibid.

(4)    RSF, «Income and expenditure», 7 settembre 2009, https://web.archive.org/web/20140814233546/http://en.rsf.org/income-and-expenditure-07-09-2009,34401.html

(5)        RSF, «Structure des charges et des produits», http://archive.wikiwix.com/cache/?url=http://www.rsf.org/article.php3?id_article=22497&title=%C2%AB%C2%A0Structure%20des%20charges%20et%20des%20produits%C2%A0%C2%BB

(6)        Ahmed Bensaada, « Arabesque américaine : Le rôle des États-Unis dans les révoltes de la rue arabe », Edizioni Michel Brûlé, Montréal (2011), Edizioni Synergie, Alger (2012). Nuova edizioni in corso di stampa (2015).

(7)    Ignacio Ramonet, « Télévision nécrophile », Le Monde diplomatique, marzo 1990, http://www.monde-diplomatique.fr/1990/03/RAMONET/18658

(8)        Phillip Knightley, « The disinformation campaign », The Guardian, 4 ottobre 2001, http://www.theguardian.com/education/2001/oct/04/socialsciences.highereducation

(9)        L’Express, «En Libye, 6000 morts et Kadhafi menace encore», 2 marzo 2011, http://www.lexpress.fr/actualite/monde/en-libye-6000-morts-et-kadhafi-menace-encore_968125.html

(10)    Céline Lussato, «Libye : Amnesty conteste le nombre de victimes et accuse les rebelles», Le Nouvel Observateur, 17 giugno 2011, http://tempsreel.nouvelobs.com/monde/20110617.OBS5317/libye-amnesty-conteste-le-nombre-de-victimes-et-accuse-les-rebelles.html

(11)    Reuters, « L'ex-Premier ministre libyen Ali Zeidan a fui en Europe », Le Nouvel Observateur, 12 marzo 2014, http://tempsreel.nouvelobs.com/monde/20140312.REU2155/l-ex-premier-ministre-libyen-ali-zeidan-a-fui-en-europe.html

(12)    « How to Start a Revolution », Film di Ruaridh Arrow, Data di uscita: 18 settembre 2011, http://howtostartarevolutionfilm.com/

(13)    Media Education Foundation, « How to start a revolution – Transcript », http://www.mediaed.org/assets/products/155/transcript_155.pdf

(14)    Neil MacFarquhar, « A Very Busy Man Behind the Syrian Civil War’s Casualty Count », The New York Times, 9 aprile 2013, http://www.nytimes.com/2013/04/10/world/middleeast/the-man-behind-the-casualty-figures-in-syria.html?pagewanted=all&_r=1

(15)    Boutros Hussein, Murad Makhmudov e Lee Jay Walker, «Syria: major media outlets shaming themselves over Syrian Observatory for Human Rights», Modern Tokyo Times, 9 giugno 2012, http://global-security-news.com/2012/06/09/syria-major-media-outlets-shaming-themselves-over-syrian-observatory-for-human-rights/

(16)    François Bugingo, Trasmissione « Dutrizac, l’après-midi », « Retour de la xénophobie en Russie », Radio 98.5 FM, 15 ottobre 2013, http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:QZcu4NX10lwJ:www.985fm.ca/audioplayer.php%3Fmp3%3D194776+&cd=3&hl=fr&ct=clnk&gl=ca

(17)    Karl Müller, « Why that constant Russia bashing? », Current Concerns, 20 dicembre 2013, http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:wNXcRE9s92IJ:www.currentconcerns.ch/index.php%3Fid%3D2581+&cd=1&hl=fr&ct=clnk&gl=ca

(18)    Pierre Haski, « L’ex-journaliste Roger Auque, agent du Mossad », Rue 89, 11 febbraio 2015, http://rue89.nouvelobs.com/2015/02/11/lex-journaliste-roger-auque-agent-mossad-257642

(19)    Francesca Bacardi, « Jay Leno Compares Russian Olympics to Nazi Germany », Variety, 17 dicembre 2013, http://variety.com/2013/tv/news/jay-leno-nazi-olympics-1200969781/

(20)    Stephen Fry, « An Open Letter to David Cameron and the IOC », Stephenfry.com, 7 agosto 2013, http://www.stephenfry.com/2013/08/07/an-open-letter-to-david-cameron-and-the-ioc/

(21)    Boris Reitschuster, « Sochi is to Putin what Berlin in 1936 was to Hitler, says Garry Kasparov », The Guardian, 7 febbraio 2014, http://www.theguardian.com/sport/2014/feb/07/sochi-vladimir-putin-hitler-berlin-garry-kasparov

(22)    Patrick Ghrenassia, « Comparaison n’est pas raison : la " reductio ad Judaïcum" », IPhilo, 21 ottobre 2013, http://iphilo.fr/2013/10/21/comparaison-nest-pas-raison-la-reductio-ad-judaicum/

(23)    Jean-Paul Baquiast, « Journalistes achetés, journaux achetés », De Defensa, 25 ottobre 2014, http://www.dedefensa.org/article-journalistes_achet_s_journaux_achet_s_25_10_2014.html

(24)    Vedi riferimento 22



Provenienza dell'articolo

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano algerino "Reporters", 1 giugno 2015 (pp. 12-13)

 

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