Orient Occident

Qui ne se souvient pas du célèbre roman de Margaret Mitchell « Autant en emporte le vent » porté à l’écran en 1939. Esthétiquement admirable, cette œuvre relate, sur fond de guerre de Sécession, l’écroulement d’un mode vie et des « valeurs » prônées par un Sud blanc, raciste et esclavagiste.

 

Era una bella e calda giornata del mese di maggio 1972. Soffici e bianche nuvole decoravano quel cielo blu così tipico della primavera oranese. Mancava solo il triangolo rosso e la «Estrella Solitaria» per riprodurre al completo la bandiera dell’ospite del giorno. Ma il meteo non aveva osato spingere la sua stravaganza fino a questo punto, per quanto – a essere sinceri – per l’ospite del giorno ne sarebbe valsa la pena. Vero è che Orano, capitale dell’ovest algerino, non era adusa a ricevere ospiti di questa levatura. E quel giorno, un decennio dopo l’indipendenza dell’Algeria, l’invitato era una icona: Fidel Castro in persona!

 

Il «Líder Máximo», il compagno del Che, l’illustre «barbudo», il ribelle della Sierra Maestra, l’eroe della «Baia dei Porci», «El Comandante»: era ad Orano.

 

 

Fidel Castro a Orano, nel maggio 1972

 

Dal basso dei miei 14 anni, mi ero aperto, non senza difficoltà, una strada attraverso una folla densa, composta da decine di migliaia di persone venute ad ammassarsi nella piazza che ospitava il memorabile avvenimento.

 

Fidel Castro e Boumedienne per le strade di Orano

 

Colui che sfidava la più grande Potenza del mondo dalla sua minuscola isola dei Caraibi, posta ad una distanza ridicola dalle coste statunitensi, stava là, dinanzi a me, in carne ed ossa. Con un tono tanto appassionata quanto teatrale, cominciò il suo discorso:

 

«Querido compañero Houari Boumedienne ;

Queridos camaradas dirigentes del FLN y del Gobierno Argelino ;

Queridos amigos de Orán» [1].

 

Le prime frasi in spagnolo del «Comandante», amplificate da gracchianti altoparlanti, ebbero una risonanza particolare in questo immenso spazio. Bastava infatti sollevare lo sguardo verso nord, per vedere, maestosamente appollaiato su una cresta del massiccio del Murdjadjo, il famoso forte di Santa Cruz che domina El Bahia [2]. Questo imponente edificio, costruito tra il 1577 e il 1604, è una delle maggiori opere che testimoniano dell’occupazione spagnola durata quasi tre secoli (1509 - 1792). Orano, la più ispanica delle città algerine, conserva ancora nel suo dialetto tracce delle pietanze e delle parole che testimoniano di questa presenza mai realmente interrotta, se non con l’indipendenza dell’Algeria nel 1962.

 

E io, che sono cresciuto nel vecchio quartiere di Scalera (escalera: scala in spagnolo), ne sapevo qualcosa. A Orano, il fico d’India si chiama «chumbo», la candeggina «lejía», l’armadio «armario» e la paëlla e la «calentita» sono piatti «autenticamente» oranesi!

 

Il forte di Santa Cruz, che domina la città di Orano

 

Ironia della storia, la Spagna ha conquistato Orano e Cuba quasi contemporaneamente. Infatti il conquistador Diego Velázquez de Cuéllar colonizzò Cuba nel 1511 e vi fondò La Avana nel 1514. Altra coincidenza? La liberazione dei popoli cubano e algerino è stata strappata a solo qualche anno di intervallo l’una dall’altra (Cuba: 1959; Algeria: 1962).

 

El Comandante continuò a parlare:

 

«Siamo qui con voi semplicemente perché in Algeria vi è stata una rivoluzione e perché a Cuba vi è stata una rivoluzione […]. […] ogni lotta, ogni battaglia, ogni azione del popolo algerino è stata seguita, momento per momento, dal nostro popolo. L’eroica lotta contro l’esercito colonialista della Francia, la fermezza del popolo algerino, il suo patriottismo, hanno suscitato enormi simpatie nel nostro paese»

 

Fidel non esagerava per nulla la simpatia che il popolo cubano provava per la rivoluzione algerina e la sua eroica lotta contro la colonizzazione francese. Tra il 1956 e il 1957, più di 20 articoli sulla guerra di indipendenza algerina furono pubblicati da Bohemia, il giornale cubano di opposizione al dittatore Batista. Corredati da foto, gli articoli riportavano fedelmente sia notizie sulla lotta rivoluzionaria in Algeria, che sui successi militari del FLN (Fronte di liberazione nazionale algerino), e anche sull’uso della tortura da parte dei Francesi [3]. E i titoli erano eloquenti: «Lágrimas, terror y sangre en Argelia» («Lacrime, terrore e sangue in Algeria», Bohemia, 14 aprile 1957) o «¡ Asi es la guerra en Argelia!» («Così è la guerra in Algeria!», Bohemia, 7 luglio 1957), ecc.

 

 

Ma, per quanto Fidel abbia avuto la sensibilità di non sottolinearlo pubblicamente, la simpatia del popolo cubano non si era limitata ai sentimenti «protocollari» tra due nazioni separate da migliaia di chilometri. Al di là della lingua, della religione, della geografia e della cultura, Fidel e Cuba hanno aiutato concretamente l’Algeria a costruirsi un posto nel concerto delle nazioni, a recuperare la propria indipendenza, a preservare la propria integrità territoriale e ad assicurare cure mediche al suo popolo.

 

Fidel disse ancora:

 

«All’epoca, nessuno poteva immaginare un incontro come quello di oggi. La solidarietà era di altro tipo. Che cosa potevamo fare per sostenere la lotta algerina, la causa algerina, cosa potevamo fare per cooperare col popolo algerino in questa lotta?»

 

E questi interrogativi non erano solo retorici, tutt’altro. Secondo Giraldo Mazola, ex ambasciatore di Cuba in Algeria (1974-1978), una delegazione del Governo provvisorio della Repubblica algerina (GPRA) venne ricevuta fin dal 1960 dalle autorità cubane. Il 27 giugno 1961, appena due mesi dopo lo sbarco alla Baia dei Porci (aprile 1961), Cuba riconobbe il governo algerino in esilio. E non fu qualcosa di semplicemente simbolico. Cuba fu il primo paese dell’emisfero occidentale a farlo, cosa che gli costò le rappresaglie del governo francese [4].

 

L’aiuto alla causa algerina durante la sua rivoluzione non si limitò a questo. Verso la fine di ottobre 1961, Fidel Castro inviò un emissario, il giovane giornalista argentino Jorge Ricardo Masetti, per incontrare i combattenti algerini a Tunisi e informarsi sulle loro necessità. Masetti incontrò i leader del FLN, tra cui Benyoucef Benkhedda, il presidente del governo provvisorio della Repubblica algerina (GPRA).

 

Jorge Ricardo Masetti in compagnia del Che

 

Due mesi dopo la nave cubana Bahia de Nipe salpò da La Avana in direzione di Casablanca (Marocco). Il suo carico comprendeva 1500 fucili, più di 30 mitragliatrici e 4 mortai di fabbricazione statunitense. Venne trasportato in un campo dello FLN nelle vicinanze della città di Oujda, sulla frontiera algerina. Questo episodio viene ricordato come il primissimo aiuto militare di Cuba all’Africa.

 

Nel viaggio di ritorno, il Bahia de Nipe portò 76 combattenti algerini feriti e 20 bambini algerini provenienti da campi di rifugiati, per lo più orfani. Come spiega il professore Piero Gleijeses, l'aiuto fornito da Cuba all’Algeria non aveva niente a che vedere con la Guerra Fredda e il conflitto Est-Ovest. Le sue ragioni affondavano molto in profondità e sono anteriori alla vittoria castrista del 1959, attenendo più al fatto che un gran numero di Cubani si identificava con la lotta del popolo algerino [5].

 

Il sostegno del popolo cubano non si interruppe con la conquista dell’indipendenza da parte dell’Algeria nel 1962. Proseguì, soprattutto durante quella che venne chiamata la «Guerra delle sabbie», un conflitto di frontiera tra il Marocco e l’Algeria. Hassan II, il giovane del re del Marocco aveva deciso di «ingrandire» il suo paese a spese della giovane Algeria, esangue dopo 132 anni di colonizzazione e quasi 8 anni di guerra spietata contro il colonialismo francese. Così, il 25 settembre 1963, poco più di un anno dopo l’indipedenza dell’Algeria, le truppe del monarca dello sceriffato invasero il territorio algerino per occupare le importanti postazioni frontaliere di Hassi-Beida e Tindjoub [6]. Hassan II, che era stato incoronato solo due anni e mezzo prima, diede inizio ad un sanguinoso conflitto che provocò decine di morti e centinaia di feriti [7].

 

 

 

La guerra delle sabbie

 

L'Algeria si affrettò a chiedere aiuto militare a Cuba per fronteggiare l’invasione marocchina. Bastarono solo poche ore alle autorità cubane per accettare di aiutare l’Algeria aggredita. Nonostante la violenza dell’uragano Flora, una delle peggiori catastrofi naturali degli ultimi decenni che devastò la parte orientale dell’isola uccidendo più di 1000 persone, Cuba noleggiò due navi da mandare in Algeria: l’Aracelio Iglesias e l’Andres Gonzalez Lines. La prima attraccò al porto di Orano il 21 ottobre 1963. A bordo aveva un battaglione di carri composto da 22 T-34 russi e 50 tecnici militari cubani [8]. La seconda giunse ad Orano il 28 ottobre con un battaglione di fanteria e un carico di fucili, cannoni e mortai. Col resto delle truppe che giunsero all’aeroporto di Orano in aereo, l’effettivo cubano raggiunse il numero di 686 militari. E non è tutto: l’Andres Gonzalez Lines trasportava anche un regalo al popolo algerino: 4744 tonnellate di zucchero [9] !

 

Le forze cubane non ebbero bisogno di partecipare ai combattimenti contro l’esercito marocchino. L’arrivo degli aiuti massicci provenienti da Cuba (che era stata segnalato dalla stampa) ha precipitato un accordo di cessate-il-fuoco tra i due paesi vicini, firmato il 29 ottobre a Bamako.

 

I Cubani non ripresero la via del ritorno immediatamente dopo l’arresto delle ostilità. Restarono in Algeria fino al 17 marzo 1964 per formare alcuni militari algerini all’uso delle armi che avevano portato. Il responsabile cubano della missione confesserà che l’intero armamentario venne offerto all’esercito algerino «senza ricaricare nemmeno un centesimo» [10].

 

L’impegno di Cuba nei confronti dell’Algeria è stato eccezionale per l’aiuto materiale e umano offerto al paese fratello, ma anche per il fatto che esso nuoceva agli interessi di Cuba, come fu nel 1961. Infatti il sostegno cubano all’Algeria suscitò le ire del Marocco, che ruppe le relazioni diplomatiche con Cuba il 31 ottobre 1963 e annullò un colossale contratto di acquisto di zucchero cubano per un milione di tonnellate in tre anni. Una perdita di 184 milioni di dollari, proprio nel momento in cui gli Stati Uniti tentavano di asfissiare Cuba e Fidel Castro [11].

 

Ma si trattava della politica internazionalista militare cubana, che proprio in Algeria mosse i suoi primi passi. E in Algeria si avviò anche la tradizione medica internazionalista. Per iniziativa di Fidel Castro, il primo gruppo di medici giunse in Algeria il 24 maggio 1963. Era un momento in cui Cuba aveva bisogno del suo personale medico, a causa dell’esodo di professionisti prodotto dalla rivoluzione. Ma, come sottolineò all’epoca Machado Ventura, il ministro cubano della sanità pubblica, «il popolo algerino ne aveva più bisogno di noi e se lo meritava». Era un atto di vera solidarietà che non portava alcun beneficio tangibile a Cuba e che comportava costi materiali per il paese [12]. La presenza medica cubana non è mai cessata. La si trova ancora oggi in diverse regioni del paese ed è apprezzatissima dalla popolazione locale [13].

 

Ospedale oftalmologico "Amicizia Algeria-Cuba"

 

Per Piero Gleijeses, non c’è alcun dubbio: «L’Algeria è stato il primo amore di Cuba in Africa». Un amore nobile, disinteressato, umanitario, che promuove la dignità dei popoli. Inoltre, «il suo aiuto all’Algeria riflette un livello di idealismo che è rarissimo nelle relazioni diplomatiche delle grandi e piccole potenze […]» [14].

 

Bisogna riconoscere che Fidel Castro, lo stratega di questa incomparabile politica, rappresenta la coscienza che si leva tra i colonizzatori e i popoli oppressi, tra quelli che vogliono dominare il mondo e quelli che vogliono solo vivere in pace, tra le nazioni predatrici e le loro prede indifese.

 

Occorre ammetterlo, non se ne dolgano i benpensanti occidentali «mainstream», quegli stessi che difendono coloro contro i quali Fidel si è levato nel corso di tutta la sua vita...

 

Il discorso giunse al termine. Il Líder Máximo lo concluse alla grande, tra le acclamazioni festose della folla:

 

«¡Viva la Revolución Argelina!, ¡Viva la amistad entre Argelia y Cuba!

¡Patria o Muerte !, ¡Venceremos! » [15]

 

Quando mi capita di passare per questa piazza, trovandomi per caso ad Orano, mi sembra sempre che queste parole ancora volteggino nell’aria e che quella voce ancora risuoni.

 

D’ora in poi, leverò lo sguardo verso l’azzurro e cercherò il volto di Fidel tra le nuvole bianche e soffici. Chissà che con un po’ di fortuna non lo intenda dirmi:

 

«¡Hasta la victoria siempre, querido amigo de Orán!» [16]

 

P.S.: All’annuncio della morte di Fidel Castro, l’Algeria ha decretato 8 giorni di lutto nazionale, solo uno in meno rispetto a quelli decretati a Cuba.

 

Bandiera a lutto, al Conoslato generale di Algeria a Montreal, per la

morte di Fidel Castro

 

Note e riferimenti

 

1- «Caro compagno Houari Boumedienne; cari compagni del FLN e del governo algerino; cari amici di Orano».

Il discorso completo di Fidel Castro, pronunciato ad Orano il 12 maggio 1972, lo si può leggere all’indirizzo seguente: http://www.fidelcastro.cu/es/discursos/discurso-pronunciado-por-el-comandante-fidel-castro-en-la-ciudad-de-oran-argelia

2- El Bahia è il soprannome arabo della città di Orano e vuol dire «La Radiosa».

3- Rodriguez Drissi, Susannah, « Between Orientalism and Affective Identification : A Paradigm and Four Case Studies towards the Inclusion of the Moor in Cuban Literary and Cultural Studies », Thesi di Ph.D., Università di Los Angeles (UCLA), 2012, p. 124.

4- Giraldo Mazola, «La independencia del pueblo argelino nuestro pueblo la siente como propia», Granma, 5 luglio 2012,http://www.granma.cu/granmad/2012/07/05/interna/artic01.html

5- Piero Gleijeses, «La primera experiencia cubana en África: Argelia, 1961-1965», Temas No. 16, Ottobre 1998 - Giugno 1999

6- Idem

7- Alexander Mikaberidze, «Conflict and Conquest in the Islamic World : A Historical Encyclopedia, Volume 1», ABC-CLIO, Santa Barbara (USA), 2011, p.797.

8- William J. Durch, «The Cuban Military in Africa and the Middle East : From Algeria to Angola», Studies in Comparative Communism, Vol. XI, N° 1 &. 2. Spring/Summer 1978. 34-74

9- Vedi rif. 5

10- Idem

11- Yasmina Allouche, «Algeria and Cuba allied by a shared revolutionary struggle», The New Arab, 27 ottobre 2016,https://www.alaraby.co.uk/english/comment/2016/10/28/algeria-and-cuba-allied-by-a-shared-revolutionary-struggle

12- Vedi rif. 5

13- Alex MacDonald, «Fidel Castro laisse au Moyen-Orient un héritage durable», Arrêt sur Info, 27 novembre 2016, http://arretsurinfo.ch/fidel-castro-laisse-au-moyen-orient-un-heritage-durable/

14- Vedi rif. 5

15- «Viva la rivoluzione algerina! Viva l’amicizia tra l’Algeria e Cuba! Patria o Morte! Vinceremo!»

16- «Fino alla vittoria sempre, caro amico di Orano!»

 



Questo articolo in altre lingue:

 

 


Fidel Castro fotografiado en Oran (mayo de 1972)

 

Era un día hermoso y cálido el mes  de mayo de 1972. Nubes blancas y algodonosas  salpicaban ese cielo azul tan típico de la primavera oranesa. No faltaba más que el triángulo rojo y la "Estrella Solitaria" para perfeccionar la bandera del país del huésped  del día. Pero el tiempo no había osado empujar la extravagancia  hasta ese punto, ni siquiera  si, para ser franco, el visitante del día valía  la pena. Es cierto que Oran, capital del oeste de Argelia, no estaba acostumbrado a recibir a  personajes de esta magnitud. Y ese día, una década después de la independencia de Argelia, el invitado era  un icono Fidel Castro, en persona!

El "Líder Máximo", el compañero del Che, el ilustre "barbudo", el rebelde de la Sierra Maestra, el héroe de la "Bahía de Cochinos", "El Comandante": Estaba en Oran.

Desde  la altura de mis 14 años,   yo me había abierto paso, no sin dificultad, a través de una densa multitud, compuesta por decenas de miles de personas que venían a reunirse en esta plaza que acogía este memorable acontecimiento.

 

Fidel Castro y Boumediene en las calles de Oran

 

El que desafiaba a la potencia  más grande  del mundo  a partir de su  minúscula isla del Caribe, situada  a una distancia ridícula de las costas  norteamericanas, estaba allí delante de mí, en  carne y hueso. Con una dicción tan apasionada como teatral, él comenzó su discurso:

« Querido compañero Houari Boumediene ;

Queridos camaradas dirigentes del FLN y del Gobierno Argelino ;

Queridos amigos de Orán » [1].

Las primeras frases en español de "Comandante", amplificados por los altavoces potentes, tuvieron una resonancia particular en este inmenso espacio. De hecho, no había más que levantar la cabeza y mirar hacia el norte, para ver, majestuosamente ubicado en una cresta del macizo de Murdjadjo, la famosa fortaleza de Santa Cruz  que domina El  Bahia. [2] Este imponente edificio, erigido entre 1577 y 1604 es una de las grandes obras que testimonian la ocupación española de la ciudad durante casi tres siglos (1509-1792). Oran, la más hispánica de las ciudades argelinas, guarda todavía las improntas de platos y palabras que dan testimonio de esta presencia que  no ha sido realmente interrumpida más que con la independencia de Argelia en 1962.

Y yo, que he crecido en el viejo barrio de Scalera (escalera : escalier en espagnol), yo sabía algo.  En Orán a la figue de barbarie se le llama « chumbo », al l’eau de javel « lejía »,  a l’armoire « armario » y  la paella et la « calentita »  son platos auténticamente oraneses!

 

Con vistas a la ciudad de Orán, el fuerte de Santa Cruz

 

Azares de la  historia,   España conquistó Oran  y Cuba casi  al mismo tiempo.  En efecto,  el conquistador Diego Velázquez de Cuéllar coloniza  Cuba en 1511  y funda La Habana en 1514.  ¿Otra coincidencia?   La liberación de los pueblos cubano y argelino  ha sido arrancada con algunos años de intervalo (Cuba : 1959 ; Argelia : 1962).

El Comandante continúa  expresando cada vez cosas más bellas:

"Estamos aquí con ustedes, simplemente porque en Argelia había una revolución y porque en Cuba había una revolución [...]. [...] Cada combate, cada batalla, cada acción de la lucha del pueblo argelino ha sido seguida cada día  por nuestro pueblo. La lucha heroica contra el ejército colonialista de Francia, la firmeza del pueblo argelino, su patriotismo, ha suscitado enormemente la simpatía en nuestro país"

Fidel no exageraba en nada la  simpatía  que sentía el pueblo cubano hacia la revolución argelina y su lucha heroica contra la colonización francesa. Entre 1956 y 1957, más de 20 artículos sobre la Guerra de Independencia de Argelia fueron publicados por Bohemia, el diario cubano de oposición al dictador cubano Batista. Ilustrado con fotografías, los artículos  relataban tanto la lucha revolucionaria en Argelia como los éxitos militares  del FLN (Frente de Liberación Nacional de Argelia) o la práctica de la tortura por los franceses [3]. Y los títulos fueron elocuentes: "Lágrimas, terror y sangre en Argelia " (« Larmes, terreur et sang en Algérie », Bohemia, 14 avril 1957    ) o "¡Así es la guerra en Argelia!” (« Ainsi est la guerre en Algérie ! », Bohemia, 7 juillet 1957), etc.

 

 

 

Pero aunque Fidel tuvo la decencia de no subrayarlo  públicamente, la simpatía del pueblo cubano no ha sido solo sentimientos “protocolarios”  entre dos naciones separadas por miles de kilómetros. Más allá de la lengua, de la religión, de la geografía y de la cultura, Fidel y Cuba han ayudado concretamente a Argelia a hacerse un lugar en el concierto de las naciones, a recobrar su independencia, a preservar su integridad territorial y a cuidar a su pueblo.

Fidel añadió:

« En esta época, nadie podría pensar en un reencuentro como éste. La solidaridad era de otro tipo. ¿Qué se podía hacer para sostener la lucha argelina, la causa argelina, qué se podía hacer para cooperar con el pueblo argelinoen esta combate?>>

Y estas preguntas no  han quedado sin respuesta, sino todo lo contrario. Según Giraldo Mazola, ex embajador de Cuba en Argelia (1974-1978), una delegación del gobierno provisional de la República argelina (GPRA) fue recibida en 1960 por las autoridades cubanas. El 27 de junio de 1961, sólo 2 meses después del desembarco de la Bahía de Cochinos (abril de 1961), Cuba reconoció  al gobierno de Argelia en el exilio. Esto no era insignificante: Cuba fue el primer país del hemisferio occidental en hacerlo, lo que le valió las represalias del gobierno francés [4]

El apoyo a la causa argelina durante su revolución no se detiene allí. Hacia finales de octubre de 1961, Fidel envió un emisario, el joven periodista argentino Jorge Ricardo Masetti, para encontrarse con los combatientes argelinos en Túnez y preguntar sobre sus necesidades.  Masetti encuentra allí a los líderes del FLN, entre ellos  Benyoucef Benkhedda, el presidente del gobierno provisional de la República argelina (GPRA)

 

Jorge Masetti en compañía del Che

 

Dos meses más tarde, el barco cubano Bahia de Nipe deja La Habana en dirección a Casablanca (Marruecos). La carga que transportaba comprendía 1500 fusiles, más de 30 ametralladoras y  4 morteros de fabricación estadounidense. Fue transportada hacia un campo del FLN instalado en la proximidad de la ciudad de Oujda, en la frontera argelina.  Este episodio es reconocido como la primera ayuda militar enviada por Cuba a África.

A su regreso, el Bahía de Nipe llevará a 76 combatientes argelinos heridos  y 20 niños argelinos procedentes de los campos de refugiados, para la mayor parte de los orfelinatos.   Como explica el profesor Piero Gleijeses, la ayuda otorgada por Cuba a Argelia no tenía nada que ver con el conflicto Este-Oeste. Sus raíces son anteriores a la victoria castrista en 1959 y  señala la identificación de un gran número de cubanos con la lucha del pueblo argelino [5].

El apoyo del pueblo cubano no se detiene con la  independencia de Argelia en 1962. Continúa  especialmente durante lo que se llamó las "arenas de la Guerra", un conflicto fronterizo entre Marruecos y Argelia. Hassan II, joven rey de Marruecos había decidido "ampliar" su país a expensas de la joven Argelia, exangüe después de 132 años de colonización y casi 8 años de guerra sin tregua  contra el colonialismo francés.  De este modo,  el  25 de septiembre de 1963, poco más de un año después de la independencia de Argelia, las tropas del monarca cherifiano invadirán el territorio argelino para ocupar los importantes puestos fronterizos  de Hassi Beida y Tindjoub [6] Hassan II, que había accedido  al trono apenas dos años y medio antes, inicia un sangrante conflicto  que causa docenas de muertos y cientos de heridos. [7]

 

 

Para leer (en francés):

Maroc-Algérie: La bataille du désert

Paris-Match : n°759 du 26 octobre 1963

 

La guerra de las arenas (en francés) - 5 colonnes à la Une (RTF - 1963)

 

Argelia se apresuró a pedir ayuda militar a Cuba para hacer frente a la invasión marroquí. No precisaron las autoridades cubanas más que algunas horas para aceptar el apoyo a la Argelia agredida. A pesar de la violencia del huracán Flora,  uno de los peores desastres  naturales en décadas que devastó la parte oriental de la isla matando a más de 1.000 personas, Cuba fletó dos barcos con destino a Argelia: el Aracelio Iglesias  y el Andrés González Lines.

El primero arriba al puerto de Orán el 21 de octubre de 1963. A bordo lleva  un batallón de tanques compuesto de  22 T-34 rusos y 50 técnicos militares cubanos. [8] El segundo llegó a Orán el 28 de octubre con un batallón de infantería y un cargamento de fusiles, cañones y morteros. Con el resto de las tropas que llegaron al aeropuerto de Orán en avión el 29 de octubre, los efectivos cubanos ascendían a 686 militares. Y eso no era todo: El Andres Gonzalez transportaba un regalo para el pueblo argelino: 4744 toneladas de azúcar [9]

Las fuerzas cubanas no tuvieron necesidad de participar en el combate  contra el ejército marroquí. La llegada de la ayuda masiva de Cuba (que había sido señalada  en la prensa) precipitó un acuerdo de alto el fuego entre los dos países vecinos, firmado el 29 de octubre en Bamako.

Los cubanos no tomaron el camino de regreso inmediatamente después del cese de hostilidades.  Ellos permanecieron en Argelia hasta el 17 de marzo de 1964 para formar a los militares argelinos en el manejo de las armas que ellos habían llevado. El responsable cubano de la misión declarará que todo el armamento fue ofrecido al ejército argelino « sin coste alguno, ni un céntimo » [10].

El compromiso de Cuba junto a  Argelia ha sido excepcional no solo por la ayuda material y humana otorgada por el país hermano, sino también por el hecho de que dañaba a sus intereses como fue el caso en 1961. En efecto, el  apoyo cubano a Argelia levantó la ira de Marruecos que rompió relaciones diplomáticas con Cuba el 31 de de octubre de, 1963 y canceló un enorme contrato de suministro de azúcar cubano de un millón de toneladas  por  3 años. Un déficit de $ 184 millones de dólares cuando los Estados Unidos trataban de asfixiar a Cuba y Fidel Castro. [11]

Pero no era solo la política internacionalista militar cubana la que comenzó en Argelia. La tradición médica internacionalista también comenzó allí. Bajo la iniciativa de Fidel Castro, el primer grupo médico llegó a Argelia el 24 de mayo de 1963. Fue un momento en que Cuba necesitaba su personal médico a causa del éxodo post-revolucionario. Sin embargo, como declaró en esa época  Machado Ventura, el ministro cubano de Salud Pública, "el pueblo argelino tenía más necesidad que nosotros y lo merecía”.  Era un acto de verdadera solidaridad  que no aportaba ningún beneficio tangible Cuba y que ocasionaba  costes materiales para el país. [12] La presencia médica cubana nunca ha cesado  desde entonces. Todavía existe en la actualidad en diversas regiones del territorio de Argelia y es muy apreciada por las poblaciones locales [13].

 

Hospital de Ojos "Amistad Cuba-Argelia" (Djelfa, Argelia)


Para Piero Gleijeses, no hay ninguna duda: « Argelia ha sido el primer amor de Cuba en África». Un amor noble, desinteresado, humanista, que promete la dignidad de los pueblos. Además, « su  ayuda a Argelia refleja un nivel de idealismo que no es habitual en las relaciones internacionales de las grandes o pequeñas potencias […]» [14].

Hay que reconocer que Fidel Castro, el estratega de esta incomparable política, es la conciencia de que se interpone entre los colonizadores y los pueblos oprimidos, entre los que quieren dominar el mundo y los que sólo buscan vivir en paz entre las naciones depredadoras  y sus presas indefensas.

Es preciso admitir, sin ofender a bienpensante occidental "mainstream", los que quieren dominar el mundo,  aquellos contra los cuales Fidel se ha levantado durante su vida...

El discurso llega a su fin. El Líder Máximo acaba en apoteosis, bajo las aclamaciones de una multitud jubilosa:

« ¡Viva la Revolución Argelina!, ¡Viva la amistad entre Argelia y Cuba !

¡Patria o Muerte !, ¡Venceremos! » [15]

Cada vez que paso por este lugar al azar de mis viajes a Oran, siempre me  parece oír en torbellino estas palabras y  resonar estas voces.

A partir de ahora, levantaré  la cabeza hacia el cielo azul y buscaré  el rostro de Fidel entre las nubes blancas y algodonosas. Quién sabe, con un poco de suerte, lo escucharé  decirme:

« ¡Hasta la victoria siempre, querido amigo de Orán ! » [16]

P.S. : Al anuncio de la muerte de Fidel Castro,  Argelia decretó 8 días de luto nacional, un día menos que Cuba.

 


Bandera a media asta en el Consulado General de Argelia en Montreal tras la muerte de Fidel Castro

(Foto: Ahmed Bensaada, 2 de diciembre de 2016)


 

Montréal, le 14 décembre 2016




Notes et références

  1. « Cher compagnon Houari Boumediene ; chers camarades du FLN et du gouvernement algérien ; chers amis d’Oran ».

Le discours complet de Fidel Castro, prononcé à Oran le 12 mai 1972, peut être lu à l’adresse suivante : http://www.fidelcastro.cu/es/discursos/discurso-pronunciado-por-el-comandante-fidel-castro-en-la-ciudad-de-oran-argelia

  1. El Bahia est le surnom arabe de la ville d’Oran qui veut dire « La Radieuse ».
  2. Rodriguez Drissi, Susannah, « Between Orientalism and Affective Identification : A Paradigm and Four Case Studies towards the Inclusion of the Moor in Cuban Literary and Cultural Studies », Thèse de Ph.D., Université de Los Angeles (UCLA), 2012, p. 124.
  3. Giraldo Mazola, « La independencia del pueblo argelino nuestro pueblo la siente como propia », Granma, 5 juillet 2012, http://www.granma.cu/granmad/2012/07/05/interna/artic01.html
  4. Piero Gleijeses, « La primera experiencia cubana en África: Argelia, 1961-1965 », Temas No. 16, Octobre 1998 - Juin 1999
  5. 6.Ibid
  6. Alexander Mikaberidze, « Conflict and Conquest in the Islamic World : A Historical Encyclopedia, Volume 1 », ABC-CLIO, Santa Barbara (USA), 2011, p.797.
  7. William J. Durch, « The Cuban Military in Africa and the Middle East : From Algeria to Angola », Studies in Comparative Communism, Vol. XI, N° 1 &. 2. Spring/Summer 1978. 34-74
  8. Voir réf. 5
  9. 10.Ibid
  10. Yasmina Allouche, « Algeria and Cuba allied by a shared revolutionary struggle », The New Arab, 27 octobre 2016, https://www.alaraby.co.uk/english/comment/2016/10/28/algeria-and-cuba-allied-by-a-shared-revolutionary-struggle
  11. Voir réf. 5
  12. Alex MacDonald, « Fidel Castro laisse au Moyen-Orient un héritage durable », Arrêt sur Info, 27 novembre 2016, http://arretsurinfo.ch/fidel-castro-laisse-au-moyen-orient-un-heritage-durable/
  13. Voir réf. 5
  14. « Vive la révolution algérienne ! Vive l’amitié entre l’Algérie et Cuba ! La patrie ou la mort ! Nous vaincrons ! »
  15. « Jusqu’à la victoire toujours, cher ami d’Oran ! » Nº 134 - Janvier 2017

 

Traducción: Purificación González de la Blanca

Fuente: Afrique-Asie


Otras versiones del artículo:

La version espagnole de cet article a été publiée sur le site officiel de Fidel Castro


Cliquez sur l'image pour lire cette version de l'article

 

 

Fidel Castro photographié à Oran (mai 1972)

 

C’était une belle et chaude journée du mois de mai 1972. Des nuages blancs et cotonneux parsemaient ce ciel bleu si typique du printemps oranais. Il ne manquait que le triangle rouge et la « Estrella Solitaria » pour parfaire le drapeau du pays de l’hôte de la journée. Mais la météo n’avait pas osé pousser l’extravagance jusqu’à ce point, même si, pour être franc, le visiteur du jour en valait la peine. Il est vrai qu’Oran, capitale de l’Ouest algérien, n’avait pas l’habitude de recevoir des personnages de cette envergure. Et ce jour-là, une décennie après l’indépendance de l’Algérie, l’invité était une icône : Fidel Castro, en personne !

Le « Líder Máximo », le compagnon du Che, l’illustre « barbudo », le rebelle de la Sierra Maestra, le héros de la « Baie des cochons », « El Comandante » : il était à Oran.

Du haut de mes 14 ans, je m’étais frayé, non sans peine, un chemin à travers une foule dense, composée de dizaines de milliers de personnes venues s’amasser sur cette place qui accueillait ce mémorable évènement.

 

Fidel Casto en Algérie

Cliquez sur la photo pour visionner la vidéo

(Un extrait du discours prononcé par Fidel Castro à Oran est au début de la vidéo)

Pour lire le texte complet du discours d'Oran (12 mai 1972)

 

Celui qui défiait la plus grande puissance du monde à partir de sa minuscule île des Caraïbes située à une distance ridicule des rives américaines, était là, devant moi, en chair et en os. Avec une diction aussi passionnée que théâtrale, il débuta son discours :

« Querido compañero Houari Boumedienne ;

Queridos camaradas dirigentes del FLN y del Gobierno Argelino ;

Queridos amigos de Orán » [1].

Les premières phrases en espagnol du « Comandante », amplifiées par des haut-parleurs crachotants, eurent une résonance particulière dans cet immense espace. En fait, il n’y avait qu’à lever la tête et regarder vers le nord, pour apercevoir, majestueusement juché sur une crête du massif du Murdjadjo, le fameux fort de Santa Cruz qui domine El Bahia [2]. Cet imposant édifice, érigé entre 1577 et 1604, est une des œuvres majeures qui témoignent de l’occupation espagnole de la ville pendant presque trois siècles (1509 - 1792). Oran, la plus hispanique des villes algériennes, garde encore dans son sabir les empreintes de mets et des mots qui témoignent de cette présence qui n’a réellement été interrompue qu’avec l’indépendance de l’Algérie en 1962.

Et moi, qui ait grandi dans le vieux quartier de Scalera (escalera : escalier en espagnol), j’en savais quelque chose. À Oran, la figue de barbarie se dit « chumbo », l’eau de javel « lejía », l’armoire « armario » et la paëlla et la « calentita » sont des plats « authentiquement » oranais !

 

Dominant la ville d'Oran, le fort de Santa Cruz


Hasard de l’histoire, l’Espagne a conquis Oran et Cuba presqu’en même temps. En effet, le conquistador Diego Velázquez de Cuéllar colonisa Cuba en 1511 et y fonda La Havane en 1514. Autre coïncidence ? La libération des peuples cubain et algérien a été arrachée à quelques années d’intervalle (Cuba : 1959 ; Algérie : 1962).

El Comandante continua de plus belle :

« Nous sommes ici avec vous tout simplement parce qu'en Algérie il y avait une révolution et parce qu’à Cuba il y avait une révolution […]. […] chaque combat, chaque bataille, chaque action de la lutte du peuple algérien a été suivie chaque jour par notre peuple. La lutte héroïque contre l'armée colonialiste de la France, la fermeté du peuple algérien, leur patriotisme, a suscité énormément de sympathie dans notre pays »

 

Fidel n’exagérait en rien la sympathie qu’éprouvait le peuple cubain envers la révolution algérienne et son combat héroïque contre la colonisation française. Entre 1956 et 1957, plus de 20 articles sur la guerre d’indépendance algérienne ont été publiés par Bohemia, le journal cubain d’opposition au dictateur Batista. Illustrés de photos, les articles relataient aussi bien la lutte révolutionnaire en Algérie que les succès militaires du FLN (Front de libération nationale algérien) ou l’utilisation de la torture par les Français [3]. Et les titres étaient éloquents : « Lágrimas, terror y sangre en Argelia » (« Larmes, terreur et sang en Algérie », Bohemia, 14 avril 1957) ou « ¡ Asi es la guerra en Argelia ! » (« Ainsi est la guerre en Algérie ! », Bohemia, 7 juillet 1957), etc.

 

 

 


Mais bien que Fidel eût la décence de ne pas le souligner publiquement, la sympathie du peuple cubain n’a pas été que des sentiments « protocolaires » entre deux nations que séparent des milliers de kilomètres. Au-delà de la langue, de la religion, de la géographie et de la culture, Fidel et Cuba ont concrètement aidé l’Algérie à se faire une place dans le concert des nations, à recouvrer son indépendance, à préserver son intégrité territoriale et à soigner son peuple.

Fidel renchérit :

« A cette époque, personne ne pouvait penser à une rencontre comme celle-ci. La solidarité était d’un autre type. Qu’était-il possible de faire pour soutenir la lutte algérienne, la cause algérienne, qu’était-il possible de faire pour coopérer avec le peuple algérien dans ce combat ? »

Et ces questionnements ne sont pas restés sans lendemain, bien au contraire. Selon Giraldo Mazola, ancien ambassadeur de Cuba en Algérie (1974-1978), une délégation du Gouvernement provisoire de la république algérienne (GPRA) a été reçue dès 1960 par les autorités cubaines. Le 27 juin 1961, soit seulement 2 mois à peine après le débarquement de la Baie des Cochons (avril 1961), Cuba reconnut le gouvernement algérien en exil. Et ce n’était pas anodin : Cuba fut le premier pays de l’hémisphère occidental à le faire, ce qui lui attira les représailles du gouvernement français [4].

L’aide à la cause algérienne durant sa révolution ne s’arrêta pas là. Vers la fin octobre 1961, Fidel Castro envoya un émissaire, le jeune journaliste argentin Jorge Ricardo Masetti, pour rencontrer les combattants algériens à Tunis et s’enquérir de leurs besoins. Masetti y rencontra les leaders du FLN, dont Benyoucef Benkhedda, le président du gouvernement provisoire de la République algérienne (GPRA).

 

Jorge Ricardo Masetti en compagnie du Che

 

Deux mois plus tard, le bateau cubain Bahia de Nipe quitta La Havane en direction de Casablanca (Maroc). La cargaison qu’il transportait comprenait 1500 fusils, plus de 30 mitrailleuses et 4 mortiers de fabrication américaine. Elle fut transportée dans un camp du FLN installé à proximité de la ville d’Oujda, à la frontière algérienne. Cet épisode est reconnu comme étant la toute première aide militaire envoyée par Cuba à l’Afrique.

À son retour, le Bahia de Nipe ramena 76 combattants algériens blessés et 20 enfants algériens provenant de camps de réfugiés, pour la plupart des orphelins. Comme l’explique le professeur Piero Gleijeses, l'aide octroyée par Cuba à l'Algérie n'avait rien à voir avec le conflit Est-Ouest. Ses racines sont antérieures à la victoire castriste de 1959 et relève de l'identification d’un grand nombre de Cubains avec la lutte du peuple algérien [5].

Le soutien du peuple cubain ne s’interrompit pas avec l’indépendance de l’Algérie en 1962. Il se poursuivit tout spécialement lors de ce qui fut nommé la « Guerre des sables », un conflit frontalier entre le Maroc et l’Algérie. Hassan II, le jeune roi du Maroc avait décidé « d’agrandir » son pays aux dépens de la jeune Algérie, exsangue après 132 ans de colonisation et près de 8 années de guerre sans merci contre le colonialisme français. Ainsi, le 25 septembre 1963, un peu plus d'une année à peine après l’indépendance de l’Algérie, les troupes du monarque chérifien envahirent le territoire algérien pour y occuper les importants postes frontaliers de Hassi-Beida et Tindjoub [6]. Hassan II, qui avait accédé au trône à peine 2 ans et demi auparavant, initia un sanglant conflit qui causa des dizaines de morts et des centaines de blessés [7].

 

 

À lire:

Maroc-Algérie: La bataille du désert

Paris-Match : n°759 du 26 octobre 1963

 

 

La guerre des sables - 5 colonnes à la Une (RTF - 1963)
Cliquez sur l'image pour visionner l'émission


L'Algérie s'empressa de demander une aide militaire à Cuba pour faire face à l'invasion marocaine. Il ne fallut aux autorités cubaines que quelques heures pour qu'elles acceptent de soutenir l'Algérie agressée. Malgré la violence de l’ouragan Flora, une des pires catastrophes naturelles depuis des décennies qui dévasta la partie orientale de l’île en tuant plus de 1000 personnes, Cuba affréta 2 navires en direction de l’Algérie : l’Aracelio Iglesias et l’Andres Gonzalez Lines. Le premier accosta dans le port d’Oran le 21 octobre 1963. À son bord, un bataillon de chars composé de 22 T-34 russes et 50 techniciens militaires cubains [8]. Le second arriva à Oran le 28 octobre avec un bataillon d’infanterie et une cargaison de fusils, de canons et de mortiers. Avec le reste des troupes qui arrivèrent à l’aéroport d’Oran par avion le 29 octobre, l’effectif cubain s’élevait à 686 militaires. Et ce n’était pas tout : l’Andres Gonzalez Lines transportait aussi un présent au peuple algérien : 4744 tonnes de sucre [9] !

Les forces cubaines n’eurent pas besoin de participer au combat contre l’armée marocaine. L’arrivée de l’aide massive en provenance de Cuba (qui avait été signalée dans la presse) a précipité un accord de cessez-le-feu entre les deux pays voisins, signé le 29 octobre à Bamako.

Les Cubains ne prirent pas le chemin du retour immédiatement après l’arrêt des hostilités. Ils demeurèrent en Algérie jusqu’au 17 mars 1964 pour former des militaires algériens dans le maniement des armes qu’ils avaient ramenées. Le responsable cubain de la mission avouera que tout l’armement fut offert à l’armée algérienne « sans charger quoi que ce soit, même pas un cent » [10].

L’engagement de Cuba auprès de l’Algérie a été exceptionnel de par l’aide matérielle et humaine octroyée par le pays frère mais aussi par le fait qu’il nuisait à ses intérêts comme ce fut le cas en 1961. En effet, le soutien cubain à l’Algérie souleva l’ire du Maroc qui rompit ses relations diplomatiques avec Cuba le 31 octobre 1963 et annula un colossal contrat d’approvisionnement en sucre cubain d’un million de tonnes sur 3 ans. Un manque à gagner de 184 millions de $ au moment où les États-Unis essayaient d’asphyxier Cuba et Fidel Castro [11].

Il n’y pas que la politique internationaliste militaire cubaine qui commença en Algérie. La tradition médicale internationaliste y débuta aussi. Sous l’initiative de Fidel Castro, le premier groupe médical arriva en Algérie le 24 mai 1963. C’était un moment où Cuba avait besoin de son personnel médical à cause de l’exode post-révolutionnaire. Mais, comme le souligna à l’époque Machado Ventura, le ministre cubain de la Santé publique, « le peuple algérien en avait plus besoin que nous et il le méritait ». C'était un acte de véritable solidarité qui n'apportait aucun bénéfice tangible à Cuba et qui se soldait par des coûts matériels pour le pays [12]. La présence médicale cubaine n’a jamais cessé depuis. On la trouve encore à l’heure actuelle dans diverses régions du territoire algérien et elle est très appréciée par les populations locales [13].

 

Hôpital ophtalmologique "Amitié Algérie-Cuba" (Djelfa, Algérie)


Pour Piero Gleijeses, il n’y a aucun doute : « l’Algérie a été le premier amour de Cuba en Afrique ». Un amour noble, désintéressé, humaniste, qui promeut la dignité des peuples. De plus, « son aide à l'Algérie reflète un niveau d'idéalisme qui est inhabituel dans les affaires étrangères des grandes ou petites puissances […]» [14].

Il faut reconnaitre que Fidel Castro, le stratège de cette incomparable politique, est la conscience qui se dresse entre les colonisateurs et les peuples opprimés, entre ceux qui veulent dominer le monde et ceux qui ne cherchent qu’à vivre en paix, entre les nations prédatrices et leurs proies sans défense.

Il faut l’admettre, n’en déplaise à la bien-pensance occidentale« mainstream », celle-là même qui défend ceux contre lesquels Fidel s'est dressé sa vie durant...

Le discours arriva à sa fin. Le Líder Máximo l’acheva en apothéose, sous les acclamations d’une foule en liesse :

« ¡Viva la Revolución Argelina!, ¡Viva la amistad entre Argelia y Cuba !

¡Patria o Muerte !, ¡Venceremos! » [15]

Lorsqu’il m’arrive de passer par cette place, au hasard de mes voyages à Oran, il me semble toujours y entendre virevolter ces mots et résonner cette voix.

Dorénavant, je lèverai la tête vers l’azur et je chercherai le visage de Fidel entre les nuages blancs et cotonneux. Qui sait, avec un peu de chance, je l’entendrai me dire :

« ¡Hasta la victoria siempre, querido amigo de Orán ! » [16]

P.S. : À l’annonce de la mort de Fidel Castro, l’Algérie décréta 8 jours de deuil national, un jour de moins que Cuba.

 

Drapeau en berne au Consulat général d'Algérie à Montréal suite au décès de Fidel Castro

(Photo prise par Ahmed Bensaada, le 2 décembre 2016)


 

Montréal, le 14 décembre 2016

 

Notes et références

1- « Cher compagnon Houari Boumedienne ; chers camarades du FLN et du gouvernement algérien ; chers amis d’Oran ».

Le discours complet de Fidel Castro, prononcé à Oran le 12 mai 1972, peut être lu à l’adresse suivante : http://www.fidelcastro.cu/es/discursos/discurso-pronunciado-en-la-ciudad-de-oran-argelia

2- El Bahia est le surnom arabe de la ville d’Oran qui veut dire « La Radieuse ».

3- Rodriguez Drissi, Susannah, « Between Orientalism and Affective Identification : A Paradigm and Four Case Studies towards the Inclusion of the Moor in Cuban Literary and Cultural Studies », Thèse de Ph.D., Université de Los Angeles (UCLA), 2012, p. 124.

4- Giraldo Mazola, « La independencia del pueblo argelino nuestro pueblo la siente como propia », Granma, 5 juillet 2012, http://www.granma.cu/granmad/2012/07/05/interna/artic01.html

5- Piero Gleijeses, « La primera experiencia cubana en África: Argelia, 1961-1965 », Temas No. 16, Octobre 1998 - Juin 1999

6- Ibid

7- Alexander Mikaberidze, « Conflict and Conquest in the Islamic World : A Historical Encyclopedia, Volume 1 », ABC-CLIO, Santa Barbara (USA), 2011, p.797.

8- William J. Durch, « The Cuban Military in Africa and the Middle East : From Algeria to Angola », Studies in Comparative Communism, Vol. XI, N° 1 &. 2. Spring/Summer 1978. 34-74

9- Voir réf. 5

10- Ibid

11- Yasmina Allouche, « Algeria and Cuba allied by a shared revolutionary struggle », The New Arab, 27 octobre 2016, https://www.alaraby.co.uk/english/comment/2016/10/28/algeria-and-cuba-allied-by-a-shared-revolutionary-struggle

12- Voir réf. 5

13- Alex MacDonald, « Fidel Castro laisse au Moyen-Orient un héritage durable », Arrêt sur Info, 27 novembre 2016, http://arretsurinfo.ch/fidel-castro-laisse-au-moyen-orient-un-heritage-durable/

14- Voir réf. 5

15- « Vive la révolution algérienne ! Vive l’amitié entre l’Algérie et Cuba ! La patrie ou la mort ! Nous vaincrons ! »

16- « Jusqu’à la victoire toujours, cher ami d’Oran ! »

 


 

Cet article a été publié par le magazine Afrique Asie (Janvier 2017)

Cliquez sur l'image pour lire l'article en format "Magazine"


Cet article a aussi été publié par:

etc.


Versions espagnoles de l'article: une traduction de Purificación González de la Blanca:


Version italienne de l'article: une traduction de Nicola Quatrano:


Version arabe de l'article: une traduction de "Rouina Info"

 


Information complémentaire

Le 25 novembre 2017, Algérie-Poste a émis un timbre-poste à l'effigie de Fidel Castro:

 

 

 


Quelques documents historiques

 

 

La Havane, octobre 1962: visite officielle d'Ahmed Ben Bella, premier président algérien, à Cuba

Sur la photo: Fidel Castro, Ahmed Ben Bella et Osvaldo Dorticos (président cubain)

 

 

Fidel Castro tentant de monter sur un dromadaire, aidé par le président algérien, Houari Boumedienne.

(Ouargla, Algérie - Mai 1972)

 

Premier plan: Sid-Ahmed Ghozali (PDG de la Sonatrach), Fidel Castro et Houari Boumedienne (Algérie, mai 1972)

 

 

Acclamé par la foule, Fidel Castro (au centre) rentre à La Havane avec ses "barbudos" après la chute de Batista (1959)

 

Fidel Castro riant à la lecture d'un journal américain détaillant un plan pour son assassinat (Avril 1959).

Pour la petite histoire, Fidel Castro a échappé à 638 tentatives d'assassinat! Il est finalement décédé de mort naturelle.

 

 

Deux géants: Nelson Mandela et Fidel Castro
Cliquez sur la photo pour visionner la vidéo

 

 

 

SILA (Alger), le 1er novembre 2016

 

Kamel Daoud, le chroniqueur du Quotidien d’Oran, et l’auteur du fameux « Meursault, contre – enquête » , malgré son absence (d'ailleurs remarquée) au Sila 2016, a été évoqué au moins une fois. C’était lors de la conférence-débat donnée par Edwy Plenel, lundi passé, à la Safex, et précisément en réponse à une interpellation par un des présents sur une « censure » qu’aurait subi Kamel Daoud en France . Une question qui aura surpris plus d’un parmi l’assistance, et en premier lieu le journaliste français.  « Peut-être que j’ai loupé quelques chose, mais je n’ai pas le sentiment que Kamel Daoud était censuré en France puisqu’il écrit dans Le Point, il fait des conférences etc. » a répondu le co-fondateur de Mediapart.  Il se « penchera » après plus longuement sur l’écrivain algérien. Edwy Plenel commencera d'abord par lui lancer des fleurs pour s’être exprimé « par rapport à la situation algérienne » sur les « pesanteurs » et « blocages » qu’il ressentait.  Le journaliste français ajoutera « j’estime qu’il en a non seulement le droit mais c’est tout à son honneur » avant de mettre un « mais » qu’il ne pouvait pas s’empêcher de rater puisque ça lui permettait de revenir au « débat français ». Il s’attaquera ainsi à « certains » qui veulent « annexer » l’auteur algérien « comme, on aime bien avoir son bon arabe son bon nègre, parce qu’il sert ce qu’on veut défendre ».  A la fin de cette « séquence », Edwy Plenel, lancera à l’encontre de Kamel Daoud « je pense qu’il est assez fier pour savoir refuser toute annexion de ce genre ».

Source

 

 


 

 

Strasbourg, le 5 mars 2016


Le 5 mars 2016 à Strasbourg, le directeur-fondateur du site d'information Mediapart, Edwy Plenel a animé une conférence débat et présenté par la même occasion son nouvel ouvrage : Dire Nous.

Répondant à une question d'"où va l'Algérie" sur la polémique causée par la tribune de Kamel Daoud  dans le new york times sur les réfugiés de Cologne, Plenel à tout d'abord dit apprécier le roman de KD puisqu'il avait auparavant  écrit un ouvrage similaire  (lui qui a séjourné longtemps en Algérie) avant de fustiger Daoud à la surprise générale déclarant : "il faudrait excuser Kamel Daoud et comprendre d'où il parle !" puis asséner le coup de grâce au journaliste reconverti écrivain en des termes aussi acerbes que surprenants : "Kamel Daoud est instrumentalisé par Manuel Valls qui a toujours fait l'éloge de la médiocrité !"

 

Source

 

 


 

Viols commis pendant la guerre d'Algérie

 

Viols commis par les Français durant la guerre d'Algérie

 


Pourtant, quelques années auparavant, les Françaises subissaient le même sort de la part de leurs libérateurs américains.

Dans ce cas, pas de tabous ni de détours.

Entre le 14 juin 1944 et le 19 juin 1945, l’armée américaine jugea 68 cas de viol ordinaire concernant 75 victimes. Au total, 139 soldats américains se trouvaient présents sur les lieux des crimes. L’armée américaine jugea 116 de ces soldats.

Des 116 soldats qui passèrent en cour martiale en France pour viol, plus de la moitié, 67 (56 %) furent condamnés à des peines d’emprisonnement à perpétuité.

En France, 34 soldats américains furent exécutés pour crimes commis contre des citoyens français ou des réfugiés. Sur ce nombre 21 d’entre eux (67 %) le furent pour viol.

En comparaison, seul un cas de viol commis en Algérie a été jugé par la France. C'est celui d'une française, Mme Annick Castel-Pailler, qui a été violée à Alger par un parachutiste français dans la nuit du 26 au 27 juillet 1957. Son mari, communiste, avait fait le choix de militer avec le FLN. La sentence?

Le parachutiste a été condamné, le 18 avril 1958, à deux ans de prison avec sursis! L'un des rares militaires français à être passé au tribunal en ces temps-là et le seul pour viol. Jusqu'aujourd'hui, aucun militaire français n'a été jugé pour viol sur une Algérienne.

 

Viols commis par les Américains durant la libération de la France

 


 



MENSONGE !   HONTE À VOUS !

C’est en ces termes qu’un lecteur a réagi à mon récent article sur Pegida – Québec. L’utilisation des majuscules et des points d’exclamation révélant une évidente colère, je l’imagine en train de postillonner, tapant nerveusement sur son clavier avec un doigt tout en maintenant (inutilement) enfoncée la touche « caps lock » avec l’autre.

Cette admonition était accompagnée d’un hyperlien pointant vers un article écrit par Djemila Benhabib, publié le 30 mars 2015 sur le site québécois « Vigile.net ».

C’était sans doute pour me contredire car j’avais avancé dans mon article que la madame « À contre-Coran » ne s’était pas prononcée sur Pegida. Mais comme mon article avait été rédigé et envoyé pour publication le 29 mars, je n’ai malheureusement pas pu lire le sien à temps. Je dis bien « malheureusement » car ce papier aurait pu enrichir mon article tant il contient de faussetés et de formules dégoulinantes de dédain. Sans parler de ce ton suffisant de celle qui a tout compris et tout analysé (en quatre points!) afin de diriger adéquatement l’action de ses « ouailles » jusqu’à la victoire finale contre le « péril vert » qui menace le Québec.

Tous les articles

Orient/Occident